AGENZIA

Bollettino Telematico del Servizio Civile Internazionale

Supplemento al periodico "Centofiori"
Aut. trib. Roma 86/83 del 5/3/83
N°133 -  2° Agosto 2001
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La salvezza è un poliziotto che batte in levare

 Dedichiamo anche questo numero esclusivamente alle testimonianze da Genova, con la speranza, per i prossimi mesi, di essere sommersi da proposte di azioni concrete così come è avvenuto, in questi giorni, con le storie di Genova.

di Caterina Amicucci 

Sono passate due settimane dalle inquietanti giornate di Genova.
Due settimane intense trascorse nelle piazze, nelle assemblee cittadine, fra la moltitudine di racconti, di piccole e grandi storie di quei giorni che hanno già cambiato qualcosa.
Una voglia irrefrenabile di raccontare, tradurre l’orrore in parole, definirne i confini ed afferrarlo insieme. 
In tanti ci siamo ritrovati davanti a pagine bianche da riempire, unico gesto di rifiuto dell’impotenza e dell’incredulità, della rabbia e della solitudine.  
Sì, solitudine! Seppur in 300.000 a Genova eravamo profondamente soli perché dispersi, braccati, terrorizzati, ma anche perché di fronte a strategie politiche e repressive così ben organizzate e pensate, noi eravamo una massa atomizzata, frantumata disabituata da anni a riflettere su modalità di azione collettiva. E’ vero, Genova apre una nuova fase ma quello che verrà dipende solo da noi, dal nostro impegno quotidiano, dalla capacità di ricostruire e rivitalizzare il tessuto sociale.
Dedichiamo anche questo numero di Agenzia alle testimonianze augurandoci, per i prossimi mesi, di essere sommersi da proposte di azioni concrete così come è avvenuto, in questi giorni, con le storie di Genova.
Buone vacanze resistenti.

 

Sommario
 

La Deposizione

E’ solo una questione
di merendine

Andare oltre

Violenza e non violenza

Non arrendersi

Vorrei che si smettesse 
di parlare di violenza, di distruzioni, di attacchi e difese

La nostra arma sono le idee

Genova: volontari 
internazionali in corteo
 

 


Avevate promesso il rispetto 
delle forze dell'ordine

Io ero a Genova.
Quante menzogne...

La notte delle tastiere spezzate

La salvezza è un poliziotto
che batte in levare

Ricostruire ciò che
il manganello ha distrutto

Lettera di Stefano Agnoletto

La Deposizione

di Emanuele

All'attenzione dell’Avvocato Roberto Galli,
All’attenzione di Amnesty International,
All’attenzione del S.C.I.  Servizio Civile Internazionale
All’attenzione dell’opinione pubblica internazionale

[…]
Procedo ora con l’illustrazione dei fatti avvenuti di cui sono stato testimone diretto.

Genova, 21 Luglio 2001, h. 15.00 Ca
Corso Italia angolo Via Piave, sul cui fondo è una massiccia postazione di forze dell’ordine in tenuta anti-sommossa. Per ora sono lontani. Sembrano minacciosi.
Su di noi, in cielo, assordante è un elicottero dei carabinieri.
Il corteo è pacifico: siamo fermi sotto il sole estivo e nell’attesa (attesa di che? Della violenza? Di capire che cosa succede?), mi riposo vicino a bancarelle coperte da tettoie, presumibilmente lì si vendono libri. Sono con un amico ed accanto a me si avvicina un uomo dal bel sorriso, dentoni larghi, pelle scura dal tanto sole, spinge una bicicletta. Lui con quella bicicletta è arrivato da Napoli, è pacifista, aborrisce la violenza. Insieme guardiamo le forze dell’ordine che stanno avanzando verso di noi. Ingiustificatamente. Sulla nostra sinistra parte del corteo che è stato spezzato. Sono tutti fermi. Sono tutti inermi. C’è chi chiacchiera, c’è chi cerca un poco d’ombra. Alcune mamme inglesi, vecchie e romantiche fricchettone con i loro bimbi, mi chiedono come sia possibile raggiungere la spiaggia che è alle nostre spalle. ‘Non lo so’ rispondo. Ho paura. Dinnanzi a noi, assordanti e minacciosi i manganelli sugli scudi, le forze dell’ordine avanzano. Alla nostra sinistra una massa di gente è tenuta lì ferma e non capisco il perché. Il corteo avrebbe dovuto continuare lungo la propria strada. Siamo in tre: il vecchio pacifista, un amico ed io. A pochi metri di fronte a noi un cordone (umano?) armato fino ai denti e minaccioso. Volano pietre e bottiglie: due o tre minuti in tutto.
Sono pacifico e disarmato, come tutti gli altri. A noi si avvicina un giovane che aveva lanciato un paio di sassi. Il vecchio lo blocca, lo supplica di fermarsi. ‘Fate il loro gioco’ ammonisce. Non vedo il volto del giovane: casco in testa e bandana sul volto. Per un attimo si scopre: chiacchiera con noi senza timore. Mi sembra di capire che non gli piacesse porgere l’altra guancia: uno schiaffo basta e avanza. Di lui ricordo che studiava filosofia e che era toscano. Di Kant e Weber abbiamo parlato per pochi attimi. Filosofi in tempo di guerra. ‘Siamo chiusi, Cristo, siamo fottuti’ gridano i miei pensieri. Ho perso sia l’amico che il vecchio pacifista, mentre il muro nero si stava muovendo minaccioso verso la coda di ciò che rimaneva del corteo. Arrivavano alle nostre spalle. Chiusi a tappo, circondati, bloccati, inermi, non violenti. Ogni altra parola è inutile. La carica è incominciata.
In una qualsiasi altra giornata Genova mi sarebbe sembrata splendida: ora, fra urla, terrore, paura, solo lacrimogeni. Ingiustificati. Nulla lasciava presagire così tanta violenza. Vedo poco in quel momento, tossisco, alzo la maglietta blu che indosso e mi copro il volto; gli occhi non smettono di lacrimare. Un manganello mi colpisce nelle gambe e sulla schiena. Sono immerso in una marea di gente atterrita che cerca di scappare in un’unica direzione: verso il mare. Ed ancora: lacrimogeni dal cielo vengono esplosi da un personaggio tutore dell’ordine che vola a bassa quota. Questo sì lo ho visto benissimo. L’unico modo per respirare era volgere lo sguardo al cielo, dato che da terra arrivavano i fumi intossicanti dei gas lacrimogeni. Ed è ancora paura. Poteva essere, ed è stata, una tragedia. A migliaia i manifestanti si arrampicano lungo una scarpata protetta da una rete che si affaccia su Corso Italia. Ovunque fumo di lacrimogeni. La scarpata è ripida, la rete è stata interrotta in un solo punto quando passo io, la gente grida ma non corre, non può. E’ troppa rispetto allo spazio in cui si trova. I corpi sono schiacciati l’uno sull’altro. Non vi sono altre vie di fuga se non un buco di mezzo metro in una rete metallica su di un dirupo che protegge i Giardini Govi, a ridosso del mare. Sono salvo. Sono sulla cima. Accanto a me una ragazza asmatica convulsa a terra. A centinaia sono i manifestanti che vedo rifugiarsi. Disperati, disarmati, doloranti, pacifisti, donne, uomini, bambini, vecchi, giovani. Molte sono le lingue diverse che sento parlare ma solo una è la parola che echeggia: assassini.
Siamo completamente circondati. Dal mare lance di carabinieri e polizia. Dal cielo violenza dagli elicotteri. Dalla strada un autoblindo, come in Vietnam, e centinaia di tutori dell’ordine. Sono salvo e non ferito. C’è chi non ce la ha fatta. Ambulanze, feriti, sbirri manganellano con gratuità chi è rimasto solo in mezzo alla strada e poi, inesorabilmente, li caricano sui cellulari e li fanno sparire. Anche questo lo vedo benissimo. Mi trovo su di un’altura rispetto a Corso Italia, tutto è sotto i nostri occhi alla luce del sole estivo. Sotto gli occhi di tutti. Deseparecidos. Siamo rapiti. Chi cerca di allontanarsi da solo o in piccoli gruppi viene rastrellato e portato via. Tremendo sentimento di impotenza e nullità. Non sono, non siamo, più nessuno. Non posso camminare per la città senza il rischio dell’arresto. Non ho avuto tanto la paura della ‘violenza dell’ordine’, quanto piuttosto della gratuità. Gratuità che corrisponde al non comprendere. Gratuità che disorienta. Gratuità che fa male.
Qualcuno mi dice che sono in corso trattative affinché ci lascino andare. Come in guerra. Aspettiamo. Ci dicono di non allontanarci né da soli, né in piccoli gruppi. Aspettiamo ancora. Non so più che ora sia, è pomeriggio, il sole è alto in cielo. Odore di morte, rumori di guerra. Sirene, urla doloranti, elicottero. Sangue, sangue, sangue. Sulle panchine di cemento lungo Corso Italia, sull’asfalto. Feriti attorno a me. Commenti disperati. Tutto questo è ciò che ho trovato quando finalmente ci hanno lasciati andare.
Arrivo a Piazzale Kennedy. Ho perso un amico. Sono preoccupato per lui. Potrebbe essergli capitato di tutto. Gratuitamente.
Sotto i tendoni a centinaia i superstiti riposano, mangiano, chiacchierano. Altri dal volto triste, altri feriti, sofferenti. Altri ancora cercano dispersi. Fuori segni di devastazione. Incontro ***, una amica. Le chiedo del mio amico. Anche lei lo conosce. Risposta negativa. “Andiamo a Radio GAP” mi dice, “nella scuola ci sono molti ragazzi che si riposano, forse è lì. E di là (nella scuola antistante) ci sono gli avvocati del Genoa Social Forum, un’infermeria, la radio, una lista provvisoria dei dispersi. Lo cerchiamo”.
E’ tardo pomeriggio. Lo capisco per via delle ombre lunghe del sole che cala. Ci incamminiamo. Odore di bruciato. Via Cesare Battisti è vicina a Corso Italia. Una lunga scalinata, un isolato e siamo arrivati.
Tutto è finito. Gli otto Padroni del mondo hanno deciso e se ne sono andati. Così credevo. Non sapevo allora che la notte sarebbe stata più buia che mai.

Genova, 21 luglio ’01, ore 19.00 Ca, Via Cesare Battisti
Con *** siamo giunti presso le strutture scolastiche DIAZ e Pertini, che sono state concesse dall’Amministrazione Pubblica ad uso di dormitorio e sede organizzativa del Genoa Social Forum. Questo fatto mi rassicura. Si tratta di strutture autorizzate e non occupate abusivamente.
Mi incammino sempre in compagnia di *** prioritariamente presso la scuola DIAZ, adibita a dormitorio. Lì credevo di poter trovare il mio amico, scomparso durante la carica delle forze dell’ordine durante il pomeriggio. A tale scopo osservo con attenzione ogni angolo dello stabile accessibile, speranzoso di trovarlo. Tale fatto mi permette di affermare con precisione che al momento, né in momenti successivi in cui mi recai presso la scuola DIAZ, vidi materiale pericoloso come in seguito affermato dalle forze dell’ordine per giustificare la violenta incursione notturna. Nulla di tutto ciò era presente in loco. Invece vidi: tre computer con connessione ad Internet. Di questo sono certo per il fatto che nel momento in cui transitavo in zona, una macchina era ‘inchiodata’ (termine tecnico con il quale si designa un computer in fase di stallo e che necessita di essere riattivato). Il giovane che con quel computer lavorava non era in grado di eseguire il ‘reset’ (operazione che consente la riattivazione della macchina in seguito al problema di prima) e mi chiese aiuto. Pochi minuti e il computer era perfettamente funzionante. Dopo ciò il giovane straniero di lingua francese, o almeno con me si esprimeva in tale lingua, mi accompagnava nella zona in cui aveva riposto il proprio zaino da viaggio per mostrarmi alcuni libri che aveva con se. Il suo giaciglio era posto in fondo alla palestra sita al piano terreno dello stabile DIAZ. Per giungervi pertanto abbiamo dovuto attraversare tutto lo spazio che intercorreva fra l’ingresso e l’angolo esterno destro, quello in cui il giovane aveva riposto il proprio bagaglio. Per tale motivo posso affermare con certezza che nessun materiale offensivo era presente nello stabile, né in quel preciso momento, né in seguito, quando tornai a salutare il giovane straniero e consegnarli biscotti che avevo trovato nello stabile Pertini. Con lui in quell’attimo bevvi del vino la cui bottiglia fu aperta con un cavatappi ad uso multiplo tipo ‘coltellino svizzero’, non offensivo e di uso comune. Altre bottiglie di vino scuro erano presenti, la cui utilità era il dissetare e non l’offendere. Con certezza ho visto: effetti personali (vestiario, spazzolini da denti, dentifricio, scarpe, zaini, sacchi a pelo, etc); giovani e meno giovani coricati all’interno dei rispettivi sacchi a pelo riposare dopo una giornata di per sé massacrante; pentole e generi alimentari. Sul piccolo piazzale antistante l’ingresso della scuola erano giovani dediti alle chiacchiere, molti dei quali non italiani. Tale fatto lo posso confermare avendoli sentiti parlare lingue differenti la nostra. Questi ascoltavano musica, suonavano strumenti musicali, ed alcuni preparavano i bagagli in attesa della partenza dei treni speciali, di lì a poco. Tutto era finito e nulla lasciava presagire un’incursione armata. Non ve ne erano le premesse.
Una cassa amplificata suonava musica, e atteggiamenti violenti non erano manifesti né lo sarebbero stati per tutto il tempo in cui vidi i soggetti muoversi nelle vicinanze della scuola DIAZ, dalle finestre dell’adiacente scuola Pertini. La vicinanza delle due era molta, infatti la visibilità mi permetteva il riconoscimento dei volti. Non erano altresì presenti soggetti indossanti abiti neri, o scuri, tipo ‘black-block’.
La sequenza temporale dei fatti è la seguente. Gli orari in cui mi mossi fra l’una e l’altra scuola non la posso affermare con certezza, ma si è trattato del periodo di tempo compreso fra le ore 20.30 e le ore 22.00, poco prima dell’incursione armata da parte delle forze dell’ordine. Le notizie che giungevano all’interno della scuola Pertini, in cui attivisti del Genoa Social Forum svolgevano attività di informazione (radio, scritti, internet), assistenza sanitaria, legale tramite gli avvocati allora presenti in sede ed occupati nello stilare e redarre liste di dispersi, arrestati certi, e ospedalizzati, si susseguivano. Un giovane dal volto ferito durante la giornata, e spaventato, mi informava del fatto che la zona era presidiata dalle forze dell’ordine, ma, affacciatomi da una finestra a ridosso di Via Battisti, non vidi nulla. Un’ulteriore notizia mi informava dell’arresto di due giovani tedeschi, che aspettando una pizza in un locale vicino, erano stati rastrellati dalla polizia. La preoccupazione da quel momento in avanti fu molta. Non era raccomandabile lasciare lo stabile, per nessun motivo. Chiesi al giovane dal volto ferito di tranquillizzarsi e cercare di valutare con obiettività la situazione. Ero incredulo sulla possibilità che le forze dell’ordine potessero fare irruzione all’interno di uno degli stabili. Infatti nulla di preoccupante ivi si stava svolgendo. Nella Pertini ognuno svolgeva il proprio compito con tranquillità e attenzione; nella DIAZ i presenti stavano preparando i propri bagagli per la partenza chi aveva deciso ciò, mentre gli altri avevano deciso di rimandarla alla mattina seguente. Nella Pertini, infatti, era presente una lista con i rispettivi orari di partenza dei treni speciali per le rispettive destinazioni. Molti erano coloro i quali venivano a chiederne la conferma.

H. 23.OO Ca. Rumori assordanti arrivarono da Via Battisti. Affacciatomi dalla finestra di cui prima, vidi, come tutti gli altri membri allora presenti in loco, un massiccio schieramento di forze dell’ordine in posizione da attacco, anti-sommossa, e chiaramente volenterosi di fare incursione, posti dinnanzi all’ingresso della scuola DIAZ. Un attimo di silenzio. Di certo non vi sono stati avvisi su di una possibile incursione, come invece sarebbe dovuto essere. Mi riferisco al fatto che le forze dell’ordine sono penetrate nello stabile senza avvertire con megafoni delle loro intenzioni, e senza peraltro intimare l’abbandono dello stabile a chi in quel momento vi era presente. La vicinanza dei due stabili mi permetteva di vedere con chiarezza ogni cosa là fosse svolta. L’unica cosa che non potei vedere erano i volti degli agenti, nascosti dai caschi. Solo violenza. Le finestre della scuola DIAZ sono di grandi dimensioni e sprovviste di tende, pertanto la visibilità era ottima. Ero al secondo piano e, seguendo un asse inclinato, poteri vedere con chiarezza gli atti di violenza che le forze dell’ordine misero in essere alle persone inermi e che non opposero resistenza, al piano primo dello stabile a me di fronte. Con certezza, una giovane in piedi è stata colpita da un agente con il manganello nell’angolo in cui il volto ed il collo formano un angolo retto. Con chiarezza ho visto il corpo della giovane inerme cadere a terra e il braccio violento dell’agente compiere un movimento ripetuto vero il basso, sul corpo supino già violentato. Inutile andare oltre a descrivere le immagini riportate dai giornalisti che nel mentre erano stati avvisati dai membri allora presenti nella scuola Pertini, e che tutti abbiamo visto. La paura era tanta. Barricatici tutti i membri dello stabile Pertini nell’aula in cui era la radio che per tutto il tempo in cui le forze dell’ordine hanno violentemente colpito, continuava a trasmettere, dopo aver cercato di creare una barricata con banchi, cattedre e attaccapanni trovati nelle aule, vidi alcuni membri delle forze dell’ordine penetrare all’interno dello stabile in cui eravamo, dalle finestre sul corridoio esterno. Infatti lo stabile è a forma di quadrilatero. Con certezza ho visto un agente alzare un tombino alla ricerca di non so cosa. Rumori violenti hanno accompagnato il loro ingresso. Sfondate le protezioni artigianali create poc’anzi, e giustificate dalla gratuità della violenza perpetuata ai danni degli ospiti della scuola DIAZ, ho solo affermato ‘ho paura’. Riposto un orologio, eredità di mio padre, nello zaino che avevo con me, aspettavo di essere picchiato. Al momento dell’incursione, la radio era in diretta. Sono entrati ha gridato il ragazzo al microfono, mentre noi con le braccia in alto in segno di resa urlavamo di essere disarmati. Urla e terrore. Gli agenti attoniti. La radio era in onda e tutto il mondo stava ad ascoltare. La nostra fortuna. Nessuno di noi ha subito in quel preciso istante violenze. Poco dopo l’arrivo di una deputata del partito della Rifondazione Comunista, l’unica a cui è stato acconsentito di penetrare lo stabile, con qualche giornalista straniero entrato di strafogo. Nessun mandato ci è stato mostrato, nessuna spiegazione, nulla. Dalla finestra potevamo vedere con chiarezza giornalisti, un Senatore di Rifondazione Comunista strattonato dalle forze dell’ordine perché chiedeva di penetrare nella scuola DIAZ per accertarsi dell’incolumità di chi ivi fosse presente. Diritto negato con la violenza, come ai legali presenti sul luogo. Tutto il mondo stava vedendo. Solo urla, solo ambulanze con giovani massacrati. Nessuna notizia sul dove fossero condotti. Sgomento. Con chiarezza, per lo stesso motivo di cui prima, potevo vedere un soggetto in borghese, completo scuro, guidare le forze dell’ordine. Egli tutto aveva visto e comandato. Egli entrava ed usciva dalla scuola DIAZ mentre né ai politici, né agli avvocati, né ai giornalisti fu concesso ciò. Pertanto ne concludo che egli tutto sappia. Con certezza lo vidi accendere una sigaretta sul piazzale, entrare ed uscire ripetutamente. Altresì vidi un soggetto, anch’egli in borghese ma con il tricolore sulle spalle, giungere in Via Battisti. Per un attimo pensai che si trattasse o del Prefetto o del Sindaco del Comune di Genova, dovendo questi indossare il tricolore in qualità di pubblici ufficiali. Anche tale soggetto pertanto era a conoscenza dell’accaduto, avendolo visto discorrere con l’uomo misterioso in ‘nero’ di cui prima. Poco dopo la ritirata delle forze dell’ordine. Poche parole ancora. Entrammo nella scuola DIAZ e fu solo sgomento. Sangue ovunque. Particolarmente impressionato fui da denti rinvenuti in una pozza di sangue, congetturalmente all’altezza in cui vidi il corpo della giovane rovinare sotto i colpi dell’agente. Tessuti molli, simili a tessuti di orecchio, poco vicino. Non sono un patologo pertanto, previe dichiarazioni mendaci, affermo solo che si è trattato di immagini orribili. Corsi per tutta la scuola alla ricerca di superstiti. Nessuno. Negli scantinati una pozza di sangue, una gonnellina bianca, una maglietta a fiori e un ombrellino pieghevole. Ancora una volta solo una congettura nei miei pensieri. Ancora una volta ho paura dei miei pensieri. Spero non le sia capitato ciò che immagino. Nessuno dei computer era integro. Tutti distrutti, monitor compresi. Tutto distrutto.
Immediata un’indiscrezione: il Prefetto, si diceva, aveva affermato che il sangue presente era frutto di ferite subite dagli ospiti nei giorni precedenti l’incursione, feriti che per altro non si erano recati per le adeguate medicazioni. Falsità. Il sangue caldo non lo si può dimenticare. I denti strappati non li si può dimenticare. I tessuti corporei strappati non li si può dimenticare. Per una volta sono grato ai giornalisti della ricca documentazione fotografica.
Se le parole servono a descrivere il reale e a ridurne la complessità, questa volta di parole non ne ho più.
Contro ogni classismo, contro ogni sessismo, contro ogni razzismo.
Emanuele Achino

 


E’ solo una questione di merendine

di Stefania (Roma)

Decidere di andare a Genova. Una decisione difficile, ma presa. La costruzione, per settimane, di un pensiero chiaro e condiviso, di un’azione di gruppo. Spiegare a mia figlia di quattro anni perché vado a Genova: le faccio l’esempio di una iniqua ed arbitraria distribuzione di merendine. Lei ha capito.
Sono partita con ancora addosso un po’ di paura, ma tranquilla. La grande manifestazione dei migrantes ha aggiunto gioia ed allegria all’incontro di lotta. Ha quasi addormentato la paura.
Poi inizia l’incubo. Le cariche gratuite della polizia venerdì mattina mentre ballavamo in una piazza. I black, comoda scusa per cariche insensate, sarebbero arrivati solo qualche ora dopo.
Fumo di lacrimogeni e faccia bagnata dalle lacrime. Grazie ad Adli per il suggerimento delle cipolle: niente come le cipolle contro i lacrimogeni.
Nonostante le cariche ingiustificate, le fughe, i vani tentativi di muoversi per la città, la fatica di coordinare anche un gruppo di Pink nel tentativo di raggiungere Piazzale Kennedy, un incontro ravvicinato con i black bloc, nonostante questo, venerdì fino al primo pomeriggio la situazione non è insopportabile.
Poi la notizia dell’uccisione di un ragazzo, le cariche sempre più spesse e più vicine. La paura che aumenta (anche se lì per lì non te ne accorgi). Si fa sempre più chiaro il quadro sui black bloc e su come vengano utilizzati dalla polizia. Siamo sperduti, increduli, incazzati. Stanchi.
Dopo estenuanti tentativi e lunghe pause riusciamo a raggiungere piazzale Kennedy. Gli elicotteri continuano a girare sulle nostre teste. Fuoco appiccato al palazzo lì fuori. Come sarà domani? Dovremo contare ancora morti?
L’incubo l’indomani è ancora più insopportabile. Schiacciati verso la fine del corteo, caricati su due fronti, sul terzo c’è il mare, decidiamo di avventurarci per le stradine verso il centro. Non riusciamo a raggiungere nessun’altra parte di corteo. In compenso vediamo diverse persone ferite. Hanno lanciato lacrimogeni dall’alto, dai palazzi o dagli elicotteri. Hanno picchiato di brutto. La paura di incontrare black bloc in fuga e la paura di trovare dietro l’angolo poliziotti in vena di usare il manganello. Alla fine raggiungiamo la piazza dove finiva la manifestazione. Per sgombrare gli ultimi arrivati la polizia pensa bene di lanciare qualche altro lacrimogeno.
La puzza è arrivata ai polmoni.
Distrutti, riusciamo alla fine a partire.
Stazione Termini. Domenica. Ore 7.15. Silenzio, fresco. Ho lasciato il gruppo. Sola, vorrei buttarmi per terra e piangere. Non ci riesco. L’incubo prende le sue forme. Compro i giornali e leggo dell’assalto notturno alla scuola Diaz. Penso alle persone che ho incontrato lì. Capisco le motivazione del blitz. Schifo, rabbia, impotenza. Finalmente piango, da sola, seduta per terra alla stazione termini.
Sto per tornare dai miei figli. Come glielo spiego quello che è successo? Che di distribuzione di merendine in quei fottutissimi tre giorni non abbiamo avuto modo di parlare? Che trovo insopportabile il silenzio di questa stazione? Che quando sento l’elicottero che vola sulla spiaggia ho l’istinto di fuggire o di buttarlo giù? Che mentre loro erano al mare, la storia ha voltato pagina e forse è tornata indietro?

 


Andare oltre

di Sylvia (Modena)

Sono stata a Genova da giovedì sera fino a domenica mattina e oggi mi sento troppo male per poter tranquillamente riprendere il lavoro e la vita quotidiana. Mi sento sconvolta quando leggo sui giornali che altri che hanno manifestato come me sono stati torturati dalla polizia con calci, schiaffi e con una violenza psicologica inaudita. Basta citare dei quotidiani come la Repubblica del 25 luglio ’01 pagina 4: "Molte ragazze sono state minacciate di stupro" , "All'arrivo (nel carcere di Alessandria) siamo stati tutti picchiati e manganellati come "di prassi" "….. sentire queste cose dovrebbe farci riflettere TUTTI  perché un giorno potrebbe toccare a noi o a qualsiasi persona che ha avuto la "sfacciataggine" di manifestare o di esprimere la propria opinione come cittadino/a di un paese cosiddetto democratico.

Ho partecipato al corteo di sabato con il mio gruppo di affinità della Rete di Lilliput solo che a un certo punto sono stata male e ho dovuto uscire dal corteo. Sono stata accolta in casa di una famiglia genovese dove sono rimasta per alcune ore visto che fuori stava iniziando una guerrilla urbana. Penso di essere stata molto fortunata perché se avessi dovuto contare sul "aiuto" della polizia sarebbe stato meglio scappare.

La polizia non ha assolutamente fatto niente per proteggere i manifestanti dal cosiddetto Black Block che tra l'altro ha dei siti in rete (www.infoshop.org) dove si distanzia da qualsiasi vandalismo gratuito contro persone o macchine private. Mi chiedo come mai non sono state bloccate gruppetti di delinquenti che giravano tranquillamente per il centro di Genova e sapevano perfettamente muoversi nel labirinto della città vecchia? Mentre noi eravamo continuamente in fuga o da questi o dalle cariche violenti della polizia.

Spero veramente che la gente non continui la propria routine come se niente fosse. Bisogna che apriamo gli occhi e ci rendiamo conto che sono stati violati dei diritti cittadini e umani fondamentali.
(Quando lunedì ho cercato di coinvolgere una Associazione di Modena che stava organizzando una serata di concerto di fare un appello per il sit in di martedì mi hanno risposto che non si poteva fare perché si trattava di una affermazione politica. Devo dire che non sono d'accordo perché si tratta invece di diritti violati che ci toccano tutti e tutte a prescindere dalle nostre convinzioni politiche o di partito.)

Spero che ci siano spazi per riflettere insieme e andare oltre. Intendo che la cosa più importante è coinvolgere più persone e fare luce su tutto per far sì che non possano più succedere eventi come quelli di questi ultimi giorni.
E soprattutto pensare modi diversi per affrontare le situazioni….. penso per esempio a una mia amica che mi ha raccontato che a Belgrado tanti manifestanti mettevano dei fiori sui poliziotti!

 


Violenza e Non violenza

di Arianna (Pisa)

In questi giorni non si è fatto altro che parlare delle giornate di  Genova e la tensione e' rimasta alta...volevo sapere se i vols dello sci stanno tutti bene e a casa, spero che quelli che mi hanno visto li' mi rispondano. Io non ho partecipato agli scontri e non li ho neanche visti per mia fortuna, ma so di gente di Pisa ferita alla testa dai lacrimogeni. le considerazioni che mi vengono da fare sono tante, forse la più importante per me è che non bisogna rompere il movimento per differenze di vedute o di prassi, ma semmai dialogare con i violenti e soprattutto evitare qualsiasi forma di intolleranza e di esclusione che acutizzerebbe soltanto le loro ragioni, ragioni che spesso condivido, pur rimanendo nonviolenta.
Spero di aprire un dibattito, o di entrare in quello già famoso ed  esistente nello sci sul conflitto e sulla violenza/nonviolenza.

 


Non arrendersi

di Olga (Roma)

Ciò che è accaduto a Genova in questi giorni – episodi di cui siamo stati sicuramente protagonisti per la nostra presenza, ma soprattutto “spettatori per caso” – mi spinge non a riportare ciò che ho visto, bensì ciò che ho provato:
la sensazione che si prova dinanzi ad un bimbo che muove i primi passi e che, abbandonato il girello, casca e si fa male; la consapevolezza che se ci fosse stato un “adulto” ad accompagnarlo per mano gli avrebbe forse evitato tanto dolore; la certezza che, caparbio, quel bimbo si rialzerà per non barcollare mai più.
Il “bimbo”, lo capite, è questo movimento la cui COESIONE è nata in questi giorni e “l’adulto” che gli ha negato la mano, sono quei partiti con “esperienza di piazze” che avrebbero potuto evitargli qualche ingenuità, causa di tanto dolore.
Le affollate città d’Italia, ieri, ci hanno fatto capire  che il movimento è caparbio e che ce la farà.
Io mi RIVOLGO a quanti possono dare una mano, umilmente, e senza l’arroganza che proviene da una passata militanza;
Io mi RIVOLGO a quanti hanno solo pensato di esserci, ma alla fine hanno rinunciato sottovalutando la forza dei numeri!
Ai primi dico: “scendete di nuovo in campo, prendete la Vostra “esperienza” da troppi anni appesa ad un chiodo come le Vostre scarpette di calcio!
Ai secondi dico: non delegate più ad altri, assolvendoVi perché “…..sono già tanti!”  Uno in più è una forza incredibile!
Non trovate giustificazioni apparentemente valide per dissociarVi: si trovano sempre tante cose da “criticare” in ogni movimento, ma come potrà esso migliorare e crescere senza il confronto con altre idee se Voi scegliete di stare alla finestra?
E allora i 100.000 di Milano, i 50.000 di Roma, i 20.000 di Bologna, sono POCHI!!
Non è obsoleta la frase “Il popolo unito, mai sarà vinto!”.
Provate a pensare cosa potranno mai fare di fronte ad una moltitudine sproporzionata di gente: Nulla, se non arrendersi!
Aspettiamo anche te la prossima volta

 


Vorrei che si smettesse di parlare di violenza, di distruzioni, di attacchi e difese

di Roberto (Milano)

Vorrei che finalmente si iniziasse a parlare di perchè 200.000 ( e forse +) persone si sono mosse per contestare il G8. In TV o sui giornali a quanti manifestanti è stato chiesto da venerdì in avanti? Era chiaro che si voleva che finisse così per oscurare messaggi che possono essere + "pericolosi" alla lunga, quali contestare un sistema economico in cui il 20% della popolazione mondiale detiene l'80% della ricchezza, in cui 8 persone si riuniscono e decidono (per conto delle grandi imprese transnazionali) per tutto il mondo, in cui l'attività prevalente dei cosiddetti mercati finanziari è la speculazione a breve termine sulle valute che porta gli stati più poveri alla bancarotta e i loro popoli alla miseria. Questi grandi potenti si fanno belli di fronte all'opinione pubblica distribuendo le briciole della loro ricchezza. Già l'anno scorso su pressione del movimento Jubelee 2000 era stata promessa la cancellazione del debito pubblico per 20 fra gli stati + indebitati. Ad oggi solo a 11 di essi è stata accordata. Agli altri sono state proposte condizioni inaccettabili. Probabilmente vi starete chiedendo: e io concretamente che ci posso fare? La domanda è legittima. Essere informati prima di tutto.
Visitare una bottega del commercio equo e solidale (www.altromercato.it) . Acquistarne i prodotti (la qualità fra l'altro è spesso eccelsa). Ai produttori nel sud del mondo va una percentuale significativa del prezzo di vendita e sono tutelate le garanzie dei lavoratori. Aprire un conto bancario presso la Banca Popolare Etica (www.bancaetica.com), rinunciando al massimo guadagno, ma avendo la garanzia che i soldi raccolti vengano investiti in progetti a fini sociali e non in attività speculative che portano un sacco di introiti alla banche e qualche frazione di interesse in più a noi...
Utopia? No, reale come le migliaia di persone al mondo che ogni giorno muoiono di fame o malattie facilmente curabili. Reale come il morto (forse dovrei dire morti, non si sa niente di un'altra persona che è stata colpita)
di Genova. Già, perchè a Genova c'è scappato il morto. Venerdì mi è venuto in mente uno dei film della serie di Peppone e Don Camillo in cui un gruppo di giovani parte in vespa per una manifestazione nel capoluogo. Alla sera c'è una vespa in meno che ritorna.... Ecco, io ed il ragazzo ucciso, per quanto distanti anni luce nelle forme di protesta, è un po' come se avessimo fatto il viaggio assieme. Quel ragazzo non è morto venerdì perchè gli ha sparato un altro ragazzo con la divisa da carabiniere. E' stato ucciso in precedenza da chi (politici, giornalisti, persone comuni) ha voluto accentuare lo scontro, da chi ha reclamato violenza.
Gli episodi di efferata violenza da parte di forze dell'ordine (quale ordine?), del famigerato black block (ma chi sono veramente?) ed altri ci sono stati. Io non ne sono stato testimone diretto, ma in allegato potete trovare un paio di testimonianze significative.
Ribadisco però il concetto iniziale: parliamone, incazziamoci, reclamiamo giustizia, ma contemporaneamente proseguiamo il viaggio che ci ha portato a Genova.

Baci a chi mi dà baci
Carezze a chi mi dà carezze
Abbracci a chi mi dà abbracci
Aquì estamos

 


La nostra arma sono le idee

di Neria (Milano)

Non sappiamo come sfogare la nostra rabbia, ci ritroviamo, scendiamo nelle piazze, abbiamo gli occhi perennemente colmi di lacrime, le botte, i soprusi sono dentro di noi. Rivediamo le strade incendiate, strade in cui è evidente il segno di un'aggressione, scarpe sparpagliate a terra. Cosa sta succedendo? Dove siamo?

Anche chi come noi che, per pura casualità non è stata direttamente coinvolta  negli scontri, si sente come scarnificato picchiato, violato. Violato nel proprio senso di democrazia e pacifismo. Anch'io mi sento un buco in fronte, mi sento lo stesso buco in fronte di Carlo morto per caso come poteva accadere a qualsiasi di noi che era a Genova.

Sono contenta di non essermi ritrovata sola al mio ritorno a Milano quando siamo scesi dal treno siamo stati accolti dagli applausi di chi è venuto ad accogliere  i sopravvissuti di Genova, sono contenta che ci sia stata una reazione forte e di solidarietà in questa Milano di destra. Eravamo 15.000 domenica, 30.000 lunedì, 120.000 martedì non ci siamo fatti intimorire, la gente è scesa nelle piazze malgrado la paura. Questa è una vittoria, abbiamo dimostrato che non è la forza delle armi che ci può rinchiudere, che ci può tappare la bocca. Vogliamo essere in tanti armati di idee e la forza di essere in tanti per continuare a difendere il nostro diritto di  lottare per la democrazia e contro i soprusi di questa economia, che rende schiavo il mondo.
Qualcun altro in questo momento deve avere paura di noi : movimento contro la globalizzazione.

 


Genova: volontari internazionali in corteo

di Franco

Coordinavo presso Genova tre campi, nelle date del G8. La nostra esperienza al corteo di sabato, nel terzo troncone e vicini ai neri, dai quali ci siamo progressivamente e prudentemente distaccati (avevo promesso si volontari dei campi una partecipazione pacifica e "sicura" e sostanzialmente, salvo le lacrime artificiali di alcuni, lo è stata), è risultata diversa da gruppetto a gruppetto ma complessivamente non aggiunge niente alle esperienze ben rappresentate in Agenzia 132.
Anche le nostre riflessioni non sono state molto diverse, nella loro variegata molteplicità, da quelle espresse. Concordano nella testimonianza di una strategia della polizia (carabinieri, polizia, guardia di finanza!, corpo forestale!!???) troppo assurda per essere casuale, diretta secondo me certamente e con successo mediatico ad una valutazione del GSF nonchè pure ad un suo screditamento politico. Mi astengo qui da ulteriori commenti. Nel campo dell'Alta Valle Scrivia si è avuta la partecipazione dei contadini e la presenza del baffuto e riconoscibilissimo Bouvet (ma io ho potuto parlare solo con il capo degli agricoltori baschi, presente più sere). Infine cito una prossimità occasionale quanto drammatica agli eventi del venerdì.
Simona, una dei quattro agricoltori che aiutavamo, era amica di "Carletto", il ragazzo ucciso, che conosceva da tanti anni. La sorella lo era ancora di più e più vicina a lui nel periodo recente, lo aveva visto la stessa mattina della tragedia, raccomandandogli di non andare coi neri, inutilmente. Due o tre ore dopo era morto e Simona ne era rimasta scioccata e inconsolabile per giorni.
Per dire infine che tutto questo vivevamo da una distanza di pochi chilometri e di pochi minuti da Genova ma in una dimensione ambientale così radicalmemte diversa, nei paesini disabitati dove ci trovavamo e vivevamo in modo assai primitivo, che accentuava il senso di straneamento dalle cose e dalla realtà, di assurdità dei suoi connotati, che i fatti di Genova, per un certo verso, hanno comunque indotto in molti di noi.

 


Le testimonianze seguenti non ci sono state inviate direttamente da volontari SCI, ma sono arrivate tramite altre fonti. Alcune di esse stanno girando nella rete, altre sono commenti di iscritti alla mailing list.

Avevate promesso il rispetto delle forze dell'ordine

di Tommaso

Avevate promesso di manifestare in modo ordinato se le autorità vi avessero lasciati liberi di manifestare il vostro dissenso.
Avevate promesso di emarginare le frange violente che si fossero presentate a Genova.
Avevate promesso il rispetto delle forze dell'ordine.

Alla resa dei conti abbiamo che non c'è stato nessun ordine ma al contrario c'è stato un "disordine mortale" e addirittura che le forze dell'ordine sono state aggredite ingiustamente mentre facevano  il loro dovere, non avevano scelta come invece l'aveva coloro che tiravano pietre e sfasciavano tutto quello che trovavano. Inoltre oggi si viene a sapere, dopo le  irruzioni nella vostra sede che li facevate dormire con voi e li rifornivate di materiale, quindi c'era tra voi e i Black Blocks una sorta di connivenza.
Penso che non ci siano parole per descrivere la faccia tosta che avete dimostrato e che hanno dimostrato di avere i vostri ridicoli portavoce. Vorrei chiedere al sig. Agnoletto se è a conoscenza del nome di colui che ha permesso che tutto quel materiale pericoloso, poi utile per aggredire le forze di polizia, entrasse nella vostra sede di Genova. Oppure se è giusto
che il diritto a manifestare venga espresso distruggendo una città intera e gettando nella precarietà migliaia di famiglie la cui unica colpa è quella di abitare in quella zona o di avere li parcheggiata la macchina. Ovviamente da parte mia c'è dispiacere che un ragazzo addirittura  più giovane di me sia stato ucciso, ma ricordiamo, evitando facili strumentalizzazioni come sono soliti fare gli uomini della sinistra e soprattutto gli elementi del "popolo di Seattle", che Carlo Giuliani  non è stato ucciso mentre esercitava liberamente il suo diritto a  manifestare pacificamente contro il G8 ma è caduto mentre tentava di infierire su un carabiniere
ferito alla testa e al ginocchio, insieme ad altri teppisti che stavano sfasciando l'automobile su cui il carabiniere era intrappolato. Si sta parlando di un giovane di 20 anni ferito e terrorizzato che spara alla cieca per difendersi da un'aggressione il cui comportamento magari non capisce nemmeno. Perchè ricordo che coloro che hanno distrutto Genova avevano la possibilità di
scegliere tra la pace e la guerra e hanno fatto la loro scelta mentre le forze dell'ordine hanno reagito, con reazioni umane, durante l'esercizio del loro dovere senza poter scegliere se esserci oppure no. Bisognerebbe che il sig. Vittorio Agnoletto facesse un mea culpa  insieme a tutti coloro che lo hanno sostenuto fin dall'inizio, per aver iniziato da tempo con inutili pretese quel processo iniziato con la violenza verbale e conclusosi con quello che abbiamo davanti agli occhi. Tutto quello che è avvenuto a Genova è servito solo ed esclusivamente ad avere dato una certa popolarità a persone come Vittorio Agnoletto
e i suoi collaboratori (dei quali ai tempi di Seattle non si sentiva parlare) e i quali non hanno pensato alle possibili soluzioni da adottare per ottenere il risultato da loro sperato cioè manifestare pacificamente contro le decisioni dei grandi della Terra. Infatti se ciò che importava era far pensare la gente mediante cortei e manifestazioni pacifiche sollevando dubbi nella coscienza delle persone perchè non si è pensato di farlo lontano da Genova?
Proprio perchè l'eco che i media avevano dato al Genoa Social Forum era talmente grande che il dissenso sarebbe stato ugualmente sotto gli occhi dell'opinione pubblica. Non lo si è fatto perchè ciò che si cercava era pubblicità e lo scontro. L'idea di altri (tute bianche) di forzare i blocchi della polizia ed entrare nella zona rossa sono il chiaro segnale di  ciò che ho detto. E dopo che erano entrati nella zona rossa che facevano? Dove volevano andare e a fare cosa? Tutti escamotages.
Spero che lo sfogo di un giovane che ritiene la globalizzazione iniqua quando diventa ingiustizia e non giusta a priori, che si è trovato impotente di fronte alle immagini televisive, abbia presto una risposta da coloro che per me fanno parte del gruppo dei responsabili di ciò che è avvenuto (Agnoletto, Mantovani e altri) in modo che questi ultimi cerchino di fronte ad un'opinione pubblica sempre più a loro contraria di spiegare le loro motivazioni. Qualcuno deve rendere conto alla gente.
 

 


Io ero a Genova. Quante menzogne...

Da Carla di Pinerolo, una collega di scuola dell'infanzia del tutto al di sopra di ogni sospetto

C'ero anch'io il giorno della manifestazione e confermo quanto scritto sotto. E' stata una esperienza inimmaginabile. I poliziotti ci hanno attaccati con lacrimogeni e manganelli: eravamo tantissimi/e, seduti a terra: stavamo aspettando, perchè il corteo si era fermato. Eravamo inermi e indifesi/e. E' avvenuto in un attimo. Anch'io ho ricevuto una manganellata. Ho visto e soccorso un ragazzo sindacalista francese colpito al braccio da un candelotto lacrimogeno. Aveva una ferita profonda e, dopo l'intervento di un medico che ho trovato tra la gente spaventata, ho dovuto cercare un'ambulanza perché era necessario il ricovero in ospedale. Una ragazza del nostro gruppo di Pinerolo è stata aggredita talmente violentemente che, dopo averla colpita ripetutamente con il manganello buttandola a terra, le hanno tirato 5 calci in faccia, rompendole la mandibola. Ricovero urgente in ospedale. Anche lei era lì pacificamente, priva di alcuna difesa. Ho visto feriti, gente che si è sentita male a causa dei lacrimogeni, gente che gridava e piangeva. Eravamo tutti lì a manifestare in modo nonviolento. Più che il dolore fisico mi è rimasta una ferita profonda "dentro".
Dove stiamo andando?  Amici/amiche mie, teniamo bene gli occhi aperti. un abbraccio.
Carla

1. Via Po a Torino, passeggiando in attesa dell'appuntamento delle 6. Solo e senza scopo, vedo una ragazza al bar, con un'altra amica. Ma sì, è proprio lei: una compagna di corso, si è laureata ieri. Mi fermo: come va, che fighe le vacanze, dove vai, io sto andando a Genova.
AH.  Pausa, poi la conversazione riprende, Poco, non c'è molto da dire. Ciao, ciao, buone vacanze, mi allontano.

2. Leggende urbane e mediatiche, tutti ne parlano ma nessuno sa nulla. Seduti sul lungomare dopo un pranzo a base di tonno e pane, chiacchieriamo con alcuni ragazzi di radio Sherwood di Padova. Si parla di Messico, indios e problemi di convivenza ed emarginazione sociale; si passa al G8, le tute bianche, la zona rossa. Non si sa nulla di preciso, ci si aspettano scontri ma nessuno ha intenzione di farsi o fare male. Leggende che forse sono vere, di cecchini nelle case, pronti ad intervenire in caso di terroristi o estremisti. Si parla dei cattivi, questi fantomatici anarchici insurrezionalisti, internazionalisti, chissà cosa o chi li identifica così, per noi sono parole, come quando uno ti spiega delle differenti correnti del death metal e tu ascolti annuendo assente. Si parla dei mezzi di comunicazione, di questo comunicato delle BR (o chi per loro) che dice "Interverremo al G8 con i nostri metodi".
Con questo messaggio, vero o falso che sia, tutto è legittimo da parte dei poliziotti.
I poliziotti: questa è l'unica certezza di quello che ci sarà. Sono tantisssimi, li abbiamo visti lungo il viaggio, praticamente ad ogni stazione. Ci hanno portato a Genova, qui siamo controllabili e controllati, tutto è organizzatissimo. Il concerto di Manu Chao ieri sera, stasera i Modena City Ramblers; gli autobus speciali per portarci ai campeggi. Noi dormiamo in un polisportivo, con due tendoni enormi pieni di gente che si riposa, ognuno col proprio sacco a pelo. Tutto ordinato e pulito. Le voci corrono: gli anarchici sarebbero da noi, alla Sciorba, ma lì non c'erano; qualcuno dice che i fantomatici "cattivi" stanno al Carlini, dove dorme la maggior parte delle persone; ma nessuno ne sa veramente nulla.
Oggi 19 luglio abbiamo trascorso la giornata al centro delle conferenze, chiacchierando, ascoltando, ritrovando persone con interessi ed ideali comuni, scoprendo le differenze tra associazioni e gruppi, che pure si ritrovano qui per lo stesso motivo nostro. Questo è utilissimo, scambiare esperienze ed informazioni con altri gruppi, creare il famoso "popolo di Seattle", raccontarsi i diversi modi di uscire dall'unica logica dei potenti, quella del denaro. Mentre scrivo c'è il vento di Genova alle mie spalle, alcuni ragazzi stanno pregando o qualcosa di simile in lontananza; sembra un raduno sommesso di persone, a metà tra un congresso e l'attesa prima di un concerto. Se la tensione c'è, non è qui; non tra la gente con cui si parla. Tra due ore comincia la prima manifestazione, ma tutto sembra liscio e tranquillo. Chissà se è vero quello che mostrano in Tv, se ci aspettano scene di panico e di guerriglia urbana.

3. La mattina del terzo giorno, dopo il delirio di ieri. In mezzo tante cose, dalla manifestazione alla conferenza stampa di Agnoletto e Casarin, alla carrellata sui media a sentire e leggere commenti, infine un dibattito con tutti seduti per terra e un megafono che passa. Ora siamo sugli scogli, ancora; bonghi che suonano, ma sono solo dei ragazzi che provano sotto il sole di piazza Kennedy.
Un altro suono rispetto alle note cupe dei tamburi neri, questi anarchici o chissà chi che ieri hanno dimostrato a modo loro: sfasciando la città. Diverso anche dal rimbombo dell'elicottero della polizia: non ha smesso un attimo di girare sopra di noi, solo per far sentire la presenza opprimente delle forse dell'ordine.
C'è stata molta rabbia alla notizia della morte di questo ragazzo; insulti all'elicottero, ai poliziotti che ci osservavano da lontano, controllando la situazione per far sentire la propria superiorità strategica e militare.
Ieri non si capiva nulla. Siamo scesi dall'autobus per ritrovarci nel cuore del vandalismo anarchico, senza capire bene come si fosse arrivati a questo, poche ore dopo la belle manifestazione del 19. Tante conversazioni, tante opinioni; da tutte emerge che la polizia ha spezzato il gruppo, provocando piccoli focolai di protesta in varie zone, impedendo a tutti noi di ritrovarci per manifestare a modo nostro. Ci siamo ritrovati tutti coinvolti nella guerriglia urbana senza che nessuno potesse organizzare una protesta, con i fantssmi in nero liberi di sfasciare cose e simboli senza alcun intervento da parte della polizia. Le cariche ed i fumogeni le abbiamo viste e vissute anche in prima persona: gente che scappa, il panico che sale e sale finchè da un angolo, chissà come, passa la voce che va bene, che ci si può fermare al sicuro da manganelli e scudi senza espressione. Il mondo ieri era diviso tra chi combatte e chi scappa. Bandiere dipinte di nero che girano in circolo, falangi organizzate di robocop blu. Chi scappa eravamo noi: giornalisti, pacifisti, manifestanti, genovesi. Alcuni signori di Genova ci hanno fermato. Commenti critici: "Non si può ridurre così una città, ragazzi; avete ragione, ma in questo modo tutto va perduto".
E' stato così: l'evento per i mezzi di comunicazione è accaduto, ecco i violenti, ecco gli anti-sociali, ecco i fascisti. Da una parte e dall'altra si è parlato solo degli scontri. E, in sottofondo, i tamburi neri in marcia con uno scopo preciso. Spostarsi, distruggere automobili; spostarsi ancora, spaccare vetrine. Indisturbati, padroni della città. Mentre la polizia caricava lontano dalla zona rossa, fino nel campo generale di piazza Kennedy. I fumi dei lacrimogeni hanno riempito la città, salendo lentamente.
Anarchici? Nazifascisti infiltrati? Vandali e basta? In realtà tutto quello che è passato, ieri, è stata la violenza; non c'è stata possibilità di manifestare in altri modi. Ci hanno provato le ex Tute Bianche, i disobbedienti civili, con protezioni e avanzamenti, tutti abbracciati incontro alla polizia; ma la risposta à stata violentissima. Fino a sera sono proseguiti gli scontri, i consigli diffusi via megafono: non tornate nei campeggi in piccoli gruppi, ci sono poliziotti violenti ovunque, piuttosto dormite qui. Poi, la macchina organizzativa è ripartita e con gli autobus siamo tornati tutti a casa.
Bene, questo è il poco che abbiamo visto. Dall'interno l'impressione è quella di un'enorme confusione, in cui ognuno legge gli avvenimenti a modo suo. Visioni di parte, critiche e recriminazioni. Il popolo di Genova si è conosciuto, ha scoperto che c'è un'anima nera che appare solo a volte, organizzata e precisa nello spaccare oggetti e nel creare disordine. Come per rovinare tutto il pacifismo e la bontà che emerge da tutti gli altri, quelli che sono qui, sommessi, per manifestare, esserci, entrare pure nella zona rossa, ma senza rischi. La sensazione è quella di essere pedine di un gioco di ruolo, qualcuno incrocia le anime dei partecipanti ad una battaglia mettendo uno contro l'altro i gruppi nemici, lasciando stare chi danneggia le cose per colpire in modo durissimo le persone. Ragazzi che sono qui per cambiare qualcosa; chi la prossima volta si chiederà se vale la pena di rischiare la vita per un'idea.

4. Subito dopo il primo ed unico incontro ravvicinato con la polizia, e non è stato bello.
Sono arrivati con le camionette in velocità; eravamo in pochi, forse 30. Non stavamo manifestando: camminavamo solamente, per raggiungere piazza Kennedy. Sono arrivati velocemente, alcuni ragazzi sono scappati su per una stradina; li ha inseguiti una camionetta, sparando un lacrimogeno ad altezza uomo. Ero a 15 metri, dietro di loro; avevo le mani alzate.
Poi è arrivata una seconda camionetta che ha cominciato a sparare lacrimogeni verso di noi, sempre ad altezza uomo. Mi sono riparato dietro un pilastro, c'era anche una ragazza, gridavamo. I poliziotti sono passati al nostro fianco, blu con caschi e tute, sembrava un videogioco; per un istante ho avuto la pazza speranza che non ci vedessero. Ne è arrivato uno dall'altro lato, ci ha sparato del gas al pepe in faccia; eravamo abbracciati, senza nulla in mano. Ci hanno tirato fuori di lì, erano tantissimi, forse 10. Ci hanno chiesto i documenti; io continuavo a gridare che non avevamo nulla di strano addosso, ho tirato fuori il portafogli, uno è scomparso con le nostre carte d'identità in mano. Ci hanno detto di stare in ginocchio, poi con la faccia a terra; ma eravamo in vista di un sacco di manifestanti, un poliziotto ha detto "non qui, non qui" e ci hanno spostato dietro il pilastro, dove nessuno vedeva. Per un istante ho avuto nella testa un'immagine di tortura, ma ci hanno semplicemente lasciato lì in ginocchio, senza dire nulla. Dopo qualche minuto ci hanno spinto fino ad una via laterale, io continuavo a dire "i documenti, i documenti" e loro spingevano e tiravano; si vedeva che ci avrebbero volentieri trattato peggio. Ci hanno messo in fila di fianco ad altri; erano tedeschi, tutti con la faccia pulita come noi. Marzia, la ragazza, era in panico; il suo ragazzo cercava di consolarla, anche io le stringevo la mano.
Un tipo senza uniforme ci ha parlato, chiedendo dove andavamo. Non ci voleva più vedere a Genova, la sera stessa. Gli ho risposto che, senza offesa, ma io vado dove mi pare. Non ha risposto, ha ancora aspettato prima di ridarci i documenti, ripetendo che non ci voleva più vedere. "Noi poliziotti facciamo la parte dei cattivi e voi dei buoni". Sarcasmo. Poi ci hanno lasciato andare.
Tutto lecito? Non esattamente: hanno sparato lacrimogeni ad altezza uomo, hanno caricato dei ragazzi come me con la camionetta; in genreale il resto lo posso ancora capire: l'esasperazione, la voglia di menare. Ma  se questi sono così con gente come me che non può fargli nulla, chi li controlla se si incazzano sul serio? Eppure non è ancora colpa loro, se c'è qualcuno che dovrebbe saltar fuori è chi ha organizzato e preordinato così chiaramente una strategia della violenza: impedire le manifestazioni anche se pacifiche, pararsi di fronte alla gente grazie a quelle teste di cazzo del Black Block. Così, pace per tutti, si possono colpire senza pericolo quelli indifesi.

5. Lunedì, sono passati ormai due giorni dai fatti di Genova e abbiamo trascorso questo tempo davanti alle televisioni, sui giornali, confrontando le impressioni ed opinioni. Tanto parlare del morto, Carlo; tante polemiche del Governo e dell'opposizione, tante immagini di vetrine sfondate, nessuno che parla delle 200.000 persone che hanno sfilato pacificamente, nè delle proposte portate avanti. Proposte concrete, contro il debito, i monopoli farmaceutici, le speculazioni finanziarie. Forse perchè se ne è parlato prima di questi tre giorni, di certo non in abbondanza; ma ora tutto sembra essere passato in secondo piano per lasciare il posto alla violenza e ad una polemica apparentemente sterile (Governo giù, governo su; intanto Bush dal Papa, sorrisi-sorrisi, anche se lui è quello della pena di morte, del "no" a Kyoto).
La sensazione diffusa è quella di una presa in giro, di una massa di 200.000 persone che sono andate a Genova in modo costruttivo per perdere il ruolo di protagonisti, schiacciati tra due gruppi di violenti. I Black Block da una parte, aiutati da chi si è lascito trascinare o provocare; la polizia dall'altra, convinta di poter passare impunemente sopra ad un sacco di diritti umani, almeno per tre giorni. Due gruppi militari o paramilitari; in mezzo tante persone, civili, intenzionate a manifestare pacificamente.
Non ho letto questo numero, 200.000, da nessuna parte in questi ultimi due giorni; non ho visto un'immagine del corteo, enorme, al quale abbiamo partecipato sabato. Forse la sera stessa è stato mostrato; ma ora è in corso l'incredibile processo di costruzione della storia ed interpretazione della verità che porterà a ricordarsi di questi giorni per Carlo Giuliani e gli scontri, più che per l'enorme massa di persone presente a contestare il G8. Chissà se senza la violenza si sarebbe effettivamente parlato di questa contestazione; chi "conosce il mondo", come si dice, afferma di no. A noi resta l'immagine di una signora anziana affacciata alla finestra di casa, al terzo piano. Scandisce il tempo con le mani, sorride e saluta il corteo; tutti noi la applaudiamo dal basso e lei continua a sorridere, mentre una marea di persone sfila sotto casa sua.

 


La notte delle tastiere spezzate

di Pietro

Torno da Pavia, dove sono stato con Ornella a cercare Guillermo e i suoi compagni e compagne di Zaragoza sequestrati e torturati dalle forze dell'Ordine (?) alla scuola diaz  e incarcerati fino a mercoledi sera ( alba di giovedi per molte e molti di loro).  Non mi sono ovviamente ripreso del tutto e non ho ancora metabolizzato
l'orrore che ho sentito raccontare e che ho visto sui loro corpi tumefatti ( nessuno/a escluso ). Non riprendo nè ripeto le notizie sulle modalità dei fermi, pestaggi con sedie e banchi,  sveglia violenta e minacce dichiaratamente filo fasciste, molestie nelle corsie dell'ospedale, canzoncine "faccetta nera" emesse dai cellulari per non far dormire i feriti/e, due giorni  senza cibo nè acqua ecc... i giornali si stanno occupando di questo. Preferisco raccontare la mia esperienza diretta di fronte alla questura di Pavia.
mercoledi mattina,
Dopo due giorni di ricerche telefoniche apprendiamo dai genitori di Guille che sta al carcere di Pavia con circa una quarantina di stranieri presi la "notte delle  tastiere spezzate", passatemi il termine visto che la espressione evolve cosi' come la nostra comunicazione dissidente, non più matite degli studenti argentini ma PC. Mercoledi mattina decidiamo di prendere il primo treno per Pavia. Arriviamo alle 16.00 e ci dirigiamo verso il carcere emozionati e commossi per l'idea di riabbracciare il nostro amico e le altre e gli altri.
Di fronte al carcere ci informano che il giudice non sta confermando gli arresti perchè illegali e che presto potranno uscire tutti. Due spagnoli sono appena usciti, ma subito  caricati su un cellulare e portati in questura per delle pratiche burocratiche, da una prima descrizione ci convinciamo che uno di questi potrebbe essere Guille. Ci precipitiamo in questura dove troviamo una cinquantina di persone della zona con qualche
parente e amico straniero che compilano liste e parlano con avvocati/e. Riesco a parlare per 10 secondi con Guille al cellulare dell'avvocata che mi dice "il peggio è passato ora sto bene", scoppio in lacrime pensando al "peggio" senza una chiara idea di cosa volesse  dire. Dentro la questura gli stranieri ( tutti maschi) sono tutti liberi, ci  dicono avvocati e consoli inglese, tedesco, polacco che fanno la spola tra dentro e fuori per portare acqua cibo e tabacco. Manca il console Spagnolo, questo ci preoccupa non  poco. Io sono direttamente in contatto telefonico col console spagnolo a Genova che sta facendo un buon lavoro e si sta occupando di altri due compagni di Zaragoza  che stanno in ospedale a Genova.
Verso le 18.30 arriva il console spagnolo di Milano e tenta di portar fuori gli spagnoli presenti in questura, dovrebbero essere 5 o 6. Verso le 19.30 in maniera del tutto anonima un cellulare della PS esce dalla questura con le tendine abbassate in modo che non si veda l'interno. Riesco appena a  notare una mano che si agita e una persona che cerca di salutarmi rincorro il cellulare e grido "guille guille!!! " ... non l'ho visto in faccia ma chiamando subito dopo l'avvocata che si sta occupando degli spagnoli ho la conferma che sono appena usciti 5 ragazzi di zaragoza, tra cui il nostro amico e che vanno a Malpensa per essere imbarcati
col volo delle 21.20. Informo lo Zio di Guille che sta a Madrid e lui chiede conferma al consolato.
 Confermato! rimangono dentro due o tre ragazzi di zaragoza.  Ornella ed io decidiamo di andare all'aereoporto, abbiamo bisogno di  abbracciarlo, toccarlo. In treno verso malpensa ci rendiamo conto che è impossibile arrivare in tempo e le notizie sugli altri Zaragozani non sono tranquillizzanti. Decidiamo che la nostra presenza è utile a Pavia. Scendiamo dal treno e torniamo in questura a sostenere gli altri. Nel mentre le persone di fronte alla questura sono aumentate, ora siamo circa 70-80, giornalisti, compagne e compagni dei centri sociali lombardi, parenti degli strenieri, simpattizzanti e solidali che hanno sentito la diretta di radio popolare. Di nuovo in attesa ... niente notizie. Da una vetrata laterale della questura vediamo una decina di tedeschi e inglesi che attendono, tutti hanno fasce, bende o ossa rotte, qualcuno zoppica vistosamente, altri dormono in terra.  Alcuni compagni dei centri sociali e della CGIL fanno la spola tra dentro  e fuori per darci notizie e portare dentro acqua e cibo, una poliziotta ci informa che l'acqua manca anche per loro.
Finchè alcuni poliziotti dalle spalle larghissime si mettono di fronte alle porte a vetri per impedirci di guardare.
Alle 22.00 ci informano che le pratiche burocratiche sono concluse, si sta solo aspettando le detenute dal carcere femminile di Voghera per liberare tutti e tutte insieme, non se ne comprende la ragione ma attendiamo fiduciose/i. Le ore passano, tra di noi si parla, ci si confronta sul da farsi. ogni  minimo movimento di entrata e uscita viene preso come una novità entusisamente, raramente si sentono urla o coretti "LIBERI! LIBERI !! " ... si cerca di organizzare una azione simbolica per quando arrivano le ragazze da voghera,
si decide di utilizzare gli strumenti e le percussioni per farci sentire... le ragazze non arrivano, non se ne comprende la ragione.
Nelle mie telefonate con l'avvocata percepisco che qualcosa non va dal suo  tono di voce, sempre più alterata... parla di denunciare il questore, vede illegalità che si aggiungono ogni mezz'ora all'illegalità dell'intera situazione. Le 96 ore di detenzione preventiva sono scadute alle 22.00 ma compagni e compagne sono ancora dentro. Alle 24.00 circa mi chiama GUILLERMO !! é all'aereoporto di Madrid! sta bene e ci sono i giornalisti che lo attendono, non ha tempo di raccontarmi. La mia emozione non mi permette di fargli sentire l'applauso che sfocia spontaneo quando riferisco la bella notizia di fronte alla questura di Pavia....
Alle 1.30 circa arrivano le ragazze, accolte da urla e applausi, con loro un piccolo corteo di parenti e amici, giornalisti e rappresentanti di Amnesty International. Ornella all'arrivo delle ragazze è già dentro, volontaria di sostegno ai carcerati/e parla spagnolo e sostiene gli animi ... anche lei è visibilmente scossa. Mi faccio intervistare da amnesty per dare i nominativi dei casi che sto  seguendo mi dice che lei invia tutto a Londra e che da li manderanno qualcuno a Zaragoza a intervistare le circa 15 persone che sono state prese alla scuola.
ora siamo circa 60 70 qualcuno se ne andato stremato, altri sono arrivati con le ragazze da voghera. Parlo molto con i genitori di una ragazza spagnola - Guillermina - arrivata con un gruppo di berlino. sono disperati ma la madre riesce a entrare in questura per abbracciarla, 5 minuti. L'umanità alberga anche lì dove ormai non ce la aspettiamo più!!
I "buoni" della digos cercano di comunicare e di non farci fare fotografie o riprendere video, anche loro sono visibilmente imbarazzati dalle cose che si sentono sui loro colleghi, non hanno argomenti ...  continua l'attesa.
 ogni 5 minuti sembra che escano tutti. Alle 3 circa ci informano che li stanno liberando e che li portano all'aeroporto linate. Non per metterli in un aereo, non per non farceli vedere, non capiamo ma iniziamo ad organizzare le macchine che vadano li. Sale la preoccupazione per gli  spagnoli e le spagnole visto che manca il console. Quello di milano non risponde, la segreteria ci da un numero di cellulare "per i casi urgentissimi", staccato !!! Quello di Genova invece lo svegliamo nel sonno e si preoccupa di chiamare subito l'avvocata. Il trasporto dovrebbe essere effettuato dal Reparto mobile di Bolzanetto, i più fascisti e violenti, abbiamo paura che le violenze continuino durante il trasporto .. Decidiamo che un avvocato seguirà il pullmann fino a Linate. attesa... colletta, paste calde ... attesa... alle 5.30 siamo circa 20 persone
applauso quando escono gli avvocati sono stati bravi!! il pullman esce tra rumori di tamburi e battiti di mani,
in macchina all'inseguimento verso Linate.
A linate li fanno uscire dall'autobus della Polizia :
SONO LIBERI ! i tre spagnoli vanno via col console di genova a riprendere il furgone e i compagni che stanno ancora all'ospedale di genova. noi andiamo a milano con 4 Catalani che hanno passato la notte con noi ...
stremati, scioccati, impotenti di fronte a situazioni che avevamo visto sentito raccontare dai dissidenti chileni, argentini, spagnoli sotto le dittature...
in treno dormiamo male, pensiamo molto e immaginiamo come rispondre politicamente ..
nessuna idea! ciao


La salvezza è un poliziotto che batte in levare

di Alberto

Ho 37 anni, faccio il dirigente (dimissionario) in una multinazionale americana, e quella di sabato è stata la mia prima vera manifestazione. Come unico precedente al liceo avevo percorso circa 300m di corteo di protesta contro gli euromissili. Non so quanto sia facile confondermi con un black bloc. Ho ritenuto giusto e importante partecipare per gli stessi motivi per cui altre centinaia di migliaia di persone NORMALI marciavano accanto a me; ero tra le bandiere bianche dell'ACLI; quelle rosse della FIOM e quelle arcobaleno dei Beati Costruttori di Pace. Ho visto persone sulla sedia a rotelle, bambini in passeggino, anziani, preti. Ho visto genovesi rinfrescarci con secchiate d'acqua dalle finestre e vecchiette benedirci dalla finestra. Dopo due ore di tranquilla manifestazione ho visto fermare il corteo e comparire dal nulla un centinaio di disgraziati totalmente diversi da
noi, assolutamente riconoscibili, poiché armati di spranghe metalliche spesso appuntite, con caschi e maschere antigas sfilare in un silenzio di tomba ai lati di migliaia di persone terrorizzate, costrette da un'organizzazione demenziale a marciare tra la balaustra del lungomare a valle e vie blindate a monte, senza possibilità di disperdersi. Qualunque manipolo ben organizzato dei famosi poliziotti in borghese infiltrati nella manifestazione avrebbe potuto isolarli e arrestarne una buona parte, anche perché siamo stati costantemente sorvolati a bassa quota da due elicotteri muniti di telecamere, che abbiamo salutato con affetto e gratitudine per tutta la durata del corteo.
Invece i poliziotti, vestiti da cattivi di guerre stellari sono comparsi sul fondo del viale, in una nuvola di lacrimogeni. Io e quelli che erano con me ci siamo spostati per lasciar passare la carica, che tanto non ce l'avevano con noi... e invece no, ce l'avevano proprio con noi. Non con gli imbecilli con le spranghe ma con la ragazza che è caduta, che è stata calpestata da due file di poliziotti e malmenata dalla terza, e che è finita all'ospedale. Con un signore che urlava ai poliziotti "siamo dell'ACLI!!!!!", che più lo ripeteva e più sonoramente veniva picchiato dai celerini, con me e Alessandra che ce la siamo cavata perché abbiamo avuto la fortuna di capitare nel movimento "in levare" di un poliziotto che aveva suonato "in battere" buona parte delle persone che come noi si erano addossate alla balaustra del viale con le mani alzate urlando di non picchiarci. E' stato realmente un massacro. Credetemi, credeteci. E' stata la mia prima manifestazione: e nonostante i grandi rischi che d'ora in poi correremo tutti scendendo in piazza non sarà certo l'ultima. Vi invito a farmi compagnia. A presto.

 


Ricostruire ciò che il manganello ha distrutto

di Cristiano

Genova è finita. o meglio sono finiti gli scontri, i pestaggi, i lanci dei lacrimogeni, gli arresti arbitrari. E lentamente, molto lentamente si attenuano anche i rumori ed i suoni che hanno popolato la mia testa in questi giorni... se ne va il rumore dell'elicottero che per 2 giorni e 2 notti ininterrottamente ha stazionato su di me e su migliaia di altri compagni. se ne va il suono delle sirene, delle ambulanze e delle camionette. E se ne vanno anche i segni che gli uomini in divisa blu hanno voluto lasciarmi come ricordo....un bernoccolo in testa, un occhio nero e strisce scure sulla schiena, tutto questo provocato da manganellate, calci, pugni. Non ho intenzione adesso di raccontare la mia testimonianza perché l'ho fatto nei giorni precedenti con avvocati, familiari, amici e giornali... grazie anche all'appoggio dei compagni che erano e che sono con me.
Ha testimoniato anche Arianna, la ragazza che è stata prelevata come me da un luogo pubblico e che come me è stata pestata con una ferocia inaudita alla quale prima avevo assistito. Ci sono dei sentimenti e delle sensazioni...però... è fascismo allo stato puro e allora non può e non deve essere dialogo. Quello che vorrei adesso non è giustizia, ma vendetta pur sapendo che mi abbasserei ai loro stessi livelli e soprattutto che cadrei nell'abile trappola che stanno cercando di tendere a quelli che come me fanno parte di un movimento di cui hanno paura. Ho cercato e cercherò da ora in poi di spostare su un lato prettamente umano tutto ciò che Genova ha significato per me. Abbandonando per un attimo la politica e la militanza perchè ho bisogno di ricostruire ciò che la mano di un uomo ha distrutto a colpi di manganello. So che ne uscirò più forte, più motivato più consapevole di cosa vuol dire "Hasta la victoria" e forse un giorno, e mai ne avrò l'occasione, riuscirò a guardare negli occhi l'uomo che per una sua scelta di vita mi ha pestato e forse potrò provare pietà per lui. ma non adesso.
 

 



 

Lettera di Stefano Agnoletto


Cari amici,
allora io ero a Genova. Io ho visto. Non date retta ai giornali ed ai telegiornali. E' stata una cosa pazzesca, un massacro. E' difficile raccontare cio' che e' avventuto tra venerdi' e sabato. Per farlo mi aiuto con quello che ho visto io e quello che hanno visto altri carissimi amici presenti a Genova. Vi prego di avere la pazienza di leggere e' veramente la cronaca di un incubo che difficilmente sentirete sui grandi mass media.

1.Io arrivo Giovedi' a Genova dopo la festosa manifestazione dei migranti, 50.000 persone. Ci sono i campi di raccolta, siamo tantissimi. Migliaia di persone assolutamente pacifiche, un clima meraviglioso (vi ricordate i campi scout?) si discuteva si cantava si stava bene insieme. Scout e militanti, volontari e professionisti e venerdi' mattina iniziamo le piazze tematiche in una citta' blindata: le varie associazioni si troveranno sparse nella citta' per fare un assedio festoso con danze, performance e slogan alla famosa linea rossa.
A questo punto sul lungo mare arriva il famoso blak blok, alcuni di  loro vengono visti parlare con la polizia, altri direttamente escono dalle loro fila. Parlano soprattutto tedesco. Iniziano a sfasciare tutto. Polizia e carabinieri stanno fermi. I Black block cercano di infilarsi nel corteo dei lavoratori aderenti ai COBAS e altri sindacati,  di cui picchiano uno dei leader, vengono respinti a fatica. Poi i black block puntano sulla prima piazza tematica (centri  sociali), piombano armati fino ai denti. La polizia li insegue, i manifestanti si trovano attaccati prima dai black e poi dalla polizia che a quel punto inizia le cariche violentissime.
I Black se ne vanno e piombano sulla piazza dove c'era la rete di Lilliput (commercio equo, gruppi cattolici di base, Mani Tese..ecc.). La gente facendo resistenza pacifica cerca di  allontanarli. La polizia insegue: carica la piazza. La gente alza le mani grida pace! Volano lacrimogeni manganellate. Ci sono feriti. I Black se ne vanno e continuano a distruggere la città... 300-400 del Black Bloc vagano per Genova, chi li guida conosce perfettamente la citta': il loro percorso di distruzione punta a raggiungere tutte le piazze tematiche dove ci sono le iniziative del movimento.. E' impressionante. Si muovono militarmente, si infiltrano, i capi gridano ordini, gli altri agiscono. E a ruota arrivano polizia e carabinieri Intanto nella piazza tematica dove c'e' l'ARCI e l'Associazione Attac ecc.:tutto va bene, nel primo pomeriggio si decide di andarsene dal confine con la linea rossa fino ad allora assediata con canti, scenette, ecc. La gente sfolla verso Piazza Dante, la polizia improvvisamente lancia lacrimogeni alle spalle,. Fuggi fuggi generale. Gli ospedali si riempiono di feriti. Molti pero' non vanno a farsi medicare in ospedale: la polizia ferma tutti quelli che ci arrivano. E' sera. La gente e' sconvolta, molti inziano a essere presi dalla rabbia. Dei black improvvisamente non si ha piu' notizia.
Alla cittadella dove c'e' il ritrovo del Genoa Social Forum saremo diecimila. E' arrivata la notizia della morte del ragazzo.
C'e' paura, i racconti di pestaggi violentissimi si moltiplicano. Ragazzi e suore che piangono. C'e' un sacco di gente ferita. Un anziano che piange con una benda in testa, è un pensionato metalmeccanico.
C'e' Don Gallo della Comunita' di San Benedetto. C'e' la mamma leader delle Madri di Plaza de Mayo in Argentina, quelle che da anni cercano notizie dei loro figli desaparecidos: dice che e' sconvolta per quello che ha visto con i suoi occhi, gli ricordano troppo l'Argentina della dittatura: non pensava fosse possibile in Italia
Intervengono mio fratello, Luca Casarini delle tute bianche e Bertinotti (l'unico politico che ha avuto il coraggio di correre) calmano tutti: ragazzi non uscite in piccoli gruppi, non accettate la sfida della violenza.
Si decide che la risposta sara' la grande manifestazione del giorno dopo, saremo in tantissimi, pacificamente contro tutte le provocazioni e le violenze di black block e forze dell'ordine. Il senatore Malabarba racconta che e' stato in questura. Ha trovato strani personaggi vestiti da manifestanti, parlano tedesco ed altre lingue straniere. Confabulano con la polizia e poi escono dalla questura. Scoppia improvvisamente un incendio in una banca vicino alla cittadella. Gli elicotteri ci sono sopra: per piu' di 40 minuti non arriva ne' pompieri ne' niente. Di notte uno dei campi dove siamo a dormire, il Carlini, viene circondato dalla polizia. Entrate a perquisire, fate quello che volete. La gente piange: implorano di non essere ancora caricati. La polizia entra: nel campo non trova niente. 2. Sabato: la grande manifestazione, siamo veramente una moltitudine.
Il corteo parte, ci sono mille colori. Gente di tutto il mondo. Tutte le associazioni, il volontariato, i contadini, i metalmeccanici, i curdi, ....ecc. Canti, danze, mille bandiere. Piazzale Kennedy. Non ci sono scontri. Non c'e' niente. Sbucano i black Block La polizia improvvisamente, senza alcun motivo, spacca in due l'enorme manifestazione. . Si scatena la guerra. Cariche dovunque, manganellate. Sono impazziti. La polizia carica i metalmeccanici della FIOM, i giovani di Rifondazione. Iniziano inseguimenti per tutta Genova. Chi rimane solo è inseguito, picchiato. Decine di persone testimoniano di inseguimenti e pestaggi solo perche' riconosciuti come manifestanti. E'  picchiato dalla polizia un giornalista del Sunday Times (sul numero di oggi racconta la sua avventura...) In un punto tranquillo della manifestazione, sul lungomare, improvvisamente da un tetto vengono sparati lacrimogeni che creano panico. Usano gas irritanti, producono dermatiti, non fanno respirare. I Black Bloc? compaiono e scompaiono, nessuno li ferma. Attaccano un ragazzo di Rifondazione. Gli spaccano la bandiera e lo picchiano.
Attaccano a pietrate i portavoce del Genoa Social Forum. Spaccano vetrine ed incendiano. Sono armati fino ai denti: ma come ci sono arrivati nella Genova blindatissima? La testa della grande manifestazione è tranquilla, il Genoa Social Forum fa l'appello di defluire con calma, di non girare da soli per la citta'. Veniamo indirizzati verso Marassi dove ci sono i pulman di quelli arrivati la mattina. Siamo fermi li'. Non si puo' andare avanti: a piazzale Kennedy e' guerra. Siamo in tanti fermi, seduti per terra.
Improvvisamente partono i lacrimogeni. Fuggi fuggi generale. Si cerca di tornare verso la cittadella del Genoa Social Forum: passano camionette della polizia da dove urlano: vi ammazzeremo tutti!
La seconda parte del corteo non arriverà mai alla piazza dove era prevista la conclusione. Tutte le persone vengono caricate indistintamente sul lungo mare. Chi riesce scappa nei vicoli verso la collina, dove si scatena una vera e propria caccia all'uomo. Sabato notte, la manifestazione era ormai finita da alcune ore, la polizia irrompe nella Sede stampa del Genoa Social Forum. Picchiano tutti con una violenza impressionante. In particolare sono interessati alla documentazione (testimonianze, video, foto...ecc.) che raccontano quello avvenuto tra venerdi' e sabato: sono molti attenti a distruggere tutto. Vengono distrutti tutti i PC e tutto il materiale che trovano, viene arrestato l'avvocato che coordina il gruppo di avvocati presenti a Genova.
Viene distrutto o portato via anche tutto il materiale che gli avvocati avevano raccolto per difendere le persone arrestate. Adesso non si sa piu' neanche quante sono e quali sono le accuse. Durante la perquisizione, fatta senza alcun mandato, a parlamentari, avvocati, giornalisti e medici e' impedito di entrare. Le famose armi comparse oggi in conferenza stampa ieri non si erano viste....rimangono i feriti e gli arrestati. Del black blok non si sa piu' niente. Vi assicuro, due giorni da incubo: black block e forze dell'ordine hanno fatto un massacro e volevano farlo. Poliziotti e carabinieri erano stati montati in modo pazzesco, fin da venerdi' mattina urlavano e insultavano.. Gli hanno veramente lavato il cervello. E poi oggi a sentire televisioni e leggere giornali: Dio mio sembra proprio un regime: dove hanno scritto la verita' che tutti noi che eravamo li' abbiamo visto? Divento poi matto a pensare che alcuni potranno ancora pensare: "voi contestatori, dite le solite cazzate..."
Non fatevi imbrogliare, abbiate il coraggio di mettere in discussione i vostri convincimenti sulle meravigliose forze dell'ordine italiane e sugli apparati democratici del nostro Stato. A Genova veramente e' avvenuto qualcosa di pazzesco. Hanno inaugurato il nuovo governo.... Un'altra piccola cosa: sul giovane ammazzato. La sapete la prima versione della questura prima che comparissero i video? Ammazzato da un sasso lanciato da altri manifestanti....... Se pensate che molta della documentazione raccolta da testimoni e' stata distrutta dopo l'irruzione alla sede del Genoa Social Forum di questa notte....ci rimangono le "sicure" versioni delle forze dell'ordine... Meditate e per favore fate girare,  stampate, parlate, c'e' bisogno di raccontare la verita'. A vostri amici, parenti, colleghi di lavoro.
Vi prego non voltatevi dall'altra parte. grazie
Stefano

P.S. Mio fratello e' distrutto, mi ha detto: è pazzesco, sembra di essere nell'America Latina negli anni 70.
Forse neanche lui aveva capito fino in fondo con chi aveva a che fare e che governo e responsabili delle forze dell'ordine potessero arrivare a tanto.