AGENZIABollettino Telematico del Servizio Civile Internazionale
Supplemento al periodico "Centofiori"
Aut. trib. Roma 86/83 del 5/3/83
N°133 - 2° Agosto 2001
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La salvezza è un poliziotto che batte in levareDedichiamo anche questo numero esclusivamente alle testimonianze da Genova, con la speranza, per i prossimi mesi, di essere sommersi da proposte di azioni concrete così come è avvenuto, in questi giorni, con le storie di Genova. |
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di Caterina Amicucci
Sono passate due settimane dalle inquietanti
giornate di Genova.
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E’ solo una questione Vorrei che si smettesse Genova: volontari
Avevate promesso il rispetto Io ero a Genova. La notte delle tastiere spezzate La salvezza è un poliziotto |
All'attenzione dell’Avvocato Roberto Galli,
All’attenzione di Amnesty International,
All’attenzione del S.C.I. Servizio Civile Internazionale
All’attenzione dell’opinione pubblica internazionale
[…]
Procedo ora con l’illustrazione dei fatti avvenuti di cui sono stato testimone
diretto.
Genova, 21 Luglio 2001, h. 15.00 Ca
Corso Italia angolo Via Piave, sul cui fondo è una massiccia postazione di
forze dell’ordine in tenuta anti-sommossa. Per ora sono lontani. Sembrano
minacciosi.
Su di noi, in cielo, assordante è un elicottero dei carabinieri.
Il corteo è pacifico: siamo fermi sotto il sole estivo e nell’attesa (attesa
di che? Della violenza? Di capire che cosa succede?), mi riposo vicino a
bancarelle coperte da tettoie, presumibilmente lì si vendono libri. Sono con un
amico ed accanto a me si avvicina un uomo dal bel sorriso, dentoni larghi, pelle
scura dal tanto sole, spinge una bicicletta. Lui con quella bicicletta è
arrivato da Napoli, è pacifista, aborrisce la violenza. Insieme guardiamo le
forze dell’ordine che stanno avanzando verso di noi. Ingiustificatamente.
Sulla nostra sinistra parte del corteo che è stato spezzato. Sono tutti fermi.
Sono tutti inermi. C’è chi chiacchiera, c’è chi cerca un poco d’ombra.
Alcune mamme inglesi, vecchie e romantiche fricchettone con i loro bimbi, mi
chiedono come sia possibile raggiungere la spiaggia che è alle nostre spalle.
‘Non lo so’ rispondo. Ho paura. Dinnanzi a noi, assordanti e minacciosi i
manganelli sugli scudi, le forze dell’ordine avanzano. Alla nostra sinistra
una massa di gente è tenuta lì ferma e non capisco il perché. Il corteo
avrebbe dovuto continuare lungo la propria strada. Siamo in tre: il vecchio
pacifista, un amico ed io. A pochi metri di fronte a noi un cordone (umano?)
armato fino ai denti e minaccioso. Volano pietre e bottiglie: due o tre minuti
in tutto.
Sono pacifico e disarmato, come tutti gli altri. A noi si avvicina un giovane
che aveva lanciato un paio di sassi. Il vecchio lo blocca, lo supplica di
fermarsi. ‘Fate il loro gioco’ ammonisce. Non vedo il volto del giovane:
casco in testa e bandana sul volto. Per un attimo si scopre: chiacchiera con noi
senza timore. Mi sembra di capire che non gli piacesse porgere l’altra
guancia: uno schiaffo basta e avanza. Di lui ricordo che studiava filosofia e
che era toscano. Di Kant e Weber abbiamo parlato per pochi attimi. Filosofi in
tempo di guerra. ‘Siamo chiusi, Cristo, siamo fottuti’ gridano i miei
pensieri. Ho perso sia l’amico che il vecchio pacifista, mentre il muro nero
si stava muovendo minaccioso verso la coda di ciò che rimaneva del corteo.
Arrivavano alle nostre spalle. Chiusi a tappo, circondati, bloccati, inermi, non
violenti. Ogni altra parola è inutile. La carica è incominciata.
In una qualsiasi altra giornata Genova mi sarebbe sembrata splendida: ora, fra
urla, terrore, paura, solo lacrimogeni. Ingiustificati. Nulla lasciava presagire
così tanta violenza. Vedo poco in quel momento, tossisco, alzo la maglietta blu
che indosso e mi copro il volto; gli occhi non smettono di lacrimare. Un
manganello mi colpisce nelle gambe e sulla schiena. Sono immerso in una marea di
gente atterrita che cerca di scappare in un’unica direzione: verso il mare. Ed
ancora: lacrimogeni dal cielo vengono esplosi da un personaggio tutore dell’ordine
che vola a bassa quota. Questo sì lo ho visto benissimo. L’unico modo per
respirare era volgere lo sguardo al cielo, dato che da terra arrivavano i fumi
intossicanti dei gas lacrimogeni. Ed è ancora paura. Poteva essere, ed è
stata, una tragedia. A migliaia i manifestanti si arrampicano lungo una scarpata
protetta da una rete che si affaccia su Corso Italia. Ovunque fumo di
lacrimogeni. La scarpata è ripida, la rete è stata interrotta in un solo punto
quando passo io, la gente grida ma non corre, non può. E’ troppa rispetto
allo spazio in cui si trova. I corpi sono schiacciati l’uno sull’altro. Non
vi sono altre vie di fuga se non un buco di mezzo metro in una rete metallica su
di un dirupo che protegge i Giardini Govi, a ridosso del mare. Sono salvo. Sono
sulla cima. Accanto a me una ragazza asmatica convulsa a terra. A centinaia sono
i manifestanti che vedo rifugiarsi. Disperati, disarmati, doloranti, pacifisti,
donne, uomini, bambini, vecchi, giovani. Molte sono le lingue diverse che sento
parlare ma solo una è la parola che echeggia: assassini.
Siamo completamente circondati. Dal mare lance di carabinieri e polizia. Dal
cielo violenza dagli elicotteri. Dalla strada un autoblindo, come in Vietnam, e
centinaia di tutori dell’ordine. Sono salvo e non ferito. C’è chi non ce la
ha fatta. Ambulanze, feriti, sbirri manganellano con gratuità chi è rimasto
solo in mezzo alla strada e poi, inesorabilmente, li caricano sui cellulari e li
fanno sparire. Anche questo lo vedo benissimo. Mi trovo su di un’altura
rispetto a Corso Italia, tutto è sotto i nostri occhi alla luce del sole
estivo. Sotto gli occhi di tutti. Deseparecidos. Siamo rapiti. Chi cerca di
allontanarsi da solo o in piccoli gruppi viene rastrellato e portato via.
Tremendo sentimento di impotenza e nullità. Non sono, non siamo, più nessuno.
Non posso camminare per la città senza il rischio dell’arresto. Non ho avuto
tanto la paura della ‘violenza dell’ordine’, quanto piuttosto della
gratuità. Gratuità che corrisponde al non comprendere. Gratuità che
disorienta. Gratuità che fa male.
Qualcuno mi dice che sono in corso trattative affinché ci lascino andare. Come
in guerra. Aspettiamo. Ci dicono di non allontanarci né da soli, né in piccoli
gruppi. Aspettiamo ancora. Non so più che ora sia, è pomeriggio, il sole è
alto in cielo. Odore di morte, rumori di guerra. Sirene, urla doloranti,
elicottero. Sangue, sangue, sangue. Sulle panchine di cemento lungo Corso
Italia, sull’asfalto. Feriti attorno a me. Commenti disperati. Tutto questo è
ciò che ho trovato quando finalmente ci hanno lasciati andare.
Arrivo a Piazzale Kennedy. Ho perso un amico. Sono preoccupato per lui. Potrebbe
essergli capitato di tutto. Gratuitamente.
Sotto i tendoni a centinaia i superstiti riposano, mangiano, chiacchierano.
Altri dal volto triste, altri feriti, sofferenti. Altri ancora cercano dispersi.
Fuori segni di devastazione. Incontro ***, una amica. Le chiedo del mio amico.
Anche lei lo conosce. Risposta negativa. “Andiamo a Radio GAP” mi dice, “nella
scuola ci sono molti ragazzi che si riposano, forse è lì. E di là (nella
scuola antistante) ci sono gli avvocati del Genoa Social Forum, un’infermeria,
la radio, una lista provvisoria dei dispersi. Lo cerchiamo”.
E’ tardo pomeriggio. Lo capisco per via delle ombre lunghe del sole che cala.
Ci incamminiamo. Odore di bruciato. Via Cesare Battisti è vicina a Corso
Italia. Una lunga scalinata, un isolato e siamo arrivati.
Tutto è finito. Gli otto Padroni del mondo hanno deciso e se ne sono andati.
Così credevo. Non sapevo allora che la notte sarebbe stata più buia che mai.
Genova, 21 luglio ’01, ore 19.00 Ca, Via Cesare Battisti
Con *** siamo giunti presso le strutture scolastiche DIAZ e Pertini, che sono
state concesse dall’Amministrazione Pubblica ad uso di dormitorio e sede
organizzativa del Genoa Social Forum. Questo fatto mi rassicura. Si tratta di
strutture autorizzate e non occupate abusivamente.
Mi incammino sempre in compagnia di *** prioritariamente presso la scuola DIAZ,
adibita a dormitorio. Lì credevo di poter trovare il mio amico, scomparso
durante la carica delle forze dell’ordine durante il pomeriggio. A tale scopo
osservo con attenzione ogni angolo dello stabile accessibile, speranzoso di
trovarlo. Tale fatto mi permette di affermare con precisione che al momento, né
in momenti successivi in cui mi recai presso la scuola DIAZ, vidi materiale
pericoloso come in seguito affermato dalle forze dell’ordine per giustificare
la violenta incursione notturna. Nulla di tutto ciò era presente in loco.
Invece vidi: tre computer con connessione ad Internet. Di questo sono certo per
il fatto che nel momento in cui transitavo in zona, una macchina era ‘inchiodata’
(termine tecnico con il quale si designa un computer in fase di stallo e che
necessita di essere riattivato). Il giovane che con quel computer lavorava non
era in grado di eseguire il ‘reset’ (operazione che consente la
riattivazione della macchina in seguito al problema di prima) e mi chiese aiuto.
Pochi minuti e il computer era perfettamente funzionante. Dopo ciò il giovane
straniero di lingua francese, o almeno con me si esprimeva in tale lingua, mi
accompagnava nella zona in cui aveva riposto il proprio zaino da viaggio per
mostrarmi alcuni libri che aveva con se. Il suo giaciglio era posto in fondo
alla palestra sita al piano terreno dello stabile DIAZ. Per giungervi pertanto
abbiamo dovuto attraversare tutto lo spazio che intercorreva fra l’ingresso e
l’angolo esterno destro, quello in cui il giovane aveva riposto il proprio
bagaglio. Per tale motivo posso affermare con certezza che nessun materiale
offensivo era presente nello stabile, né in quel preciso momento, né in
seguito, quando tornai a salutare il giovane straniero e consegnarli biscotti
che avevo trovato nello stabile Pertini. Con lui in quell’attimo bevvi del
vino la cui bottiglia fu aperta con un cavatappi ad uso multiplo tipo ‘coltellino
svizzero’, non offensivo e di uso comune. Altre bottiglie di vino scuro erano
presenti, la cui utilità era il dissetare e non l’offendere. Con certezza ho
visto: effetti personali (vestiario, spazzolini da denti, dentifricio, scarpe,
zaini, sacchi a pelo, etc); giovani e meno giovani coricati all’interno dei
rispettivi sacchi a pelo riposare dopo una giornata di per sé massacrante;
pentole e generi alimentari. Sul piccolo piazzale antistante l’ingresso della
scuola erano giovani dediti alle chiacchiere, molti dei quali non italiani. Tale
fatto lo posso confermare avendoli sentiti parlare lingue differenti la nostra.
Questi ascoltavano musica, suonavano strumenti musicali, ed alcuni preparavano i
bagagli in attesa della partenza dei treni speciali, di lì a poco. Tutto era
finito e nulla lasciava presagire un’incursione armata. Non ve ne erano le
premesse.
Una cassa amplificata suonava musica, e atteggiamenti violenti non erano
manifesti né lo sarebbero stati per tutto il tempo in cui vidi i soggetti
muoversi nelle vicinanze della scuola DIAZ, dalle finestre dell’adiacente
scuola Pertini. La vicinanza delle due era molta, infatti la visibilità mi
permetteva il riconoscimento dei volti. Non erano altresì presenti soggetti
indossanti abiti neri, o scuri, tipo ‘black-block’.
La sequenza temporale dei fatti è la seguente. Gli orari in cui mi mossi fra l’una
e l’altra scuola non la posso affermare con certezza, ma si è trattato del
periodo di tempo compreso fra le ore 20.30 e le ore 22.00, poco prima dell’incursione
armata da parte delle forze dell’ordine. Le notizie che giungevano all’interno
della scuola Pertini, in cui attivisti del Genoa Social Forum svolgevano
attività di informazione (radio, scritti, internet), assistenza sanitaria,
legale tramite gli avvocati allora presenti in sede ed occupati nello stilare e
redarre liste di dispersi, arrestati certi, e ospedalizzati, si susseguivano. Un
giovane dal volto ferito durante la giornata, e spaventato, mi informava del
fatto che la zona era presidiata dalle forze dell’ordine, ma, affacciatomi da
una finestra a ridosso di Via Battisti, non vidi nulla. Un’ulteriore notizia
mi informava dell’arresto di due giovani tedeschi, che aspettando una pizza in
un locale vicino, erano stati rastrellati dalla polizia. La preoccupazione da
quel momento in avanti fu molta. Non era raccomandabile lasciare lo stabile, per
nessun motivo. Chiesi al giovane dal volto ferito di tranquillizzarsi e cercare
di valutare con obiettività la situazione. Ero incredulo sulla possibilità che
le forze dell’ordine potessero fare irruzione all’interno di uno degli
stabili. Infatti nulla di preoccupante ivi si stava svolgendo. Nella Pertini
ognuno svolgeva il proprio compito con tranquillità e attenzione; nella DIAZ i
presenti stavano preparando i propri bagagli per la partenza chi aveva deciso
ciò, mentre gli altri avevano deciso di rimandarla alla mattina seguente. Nella
Pertini, infatti, era presente una lista con i rispettivi orari di partenza dei
treni speciali per le rispettive destinazioni. Molti erano coloro i quali
venivano a chiederne la conferma.
H. 23.OO Ca. Rumori assordanti arrivarono da Via
Battisti. Affacciatomi dalla finestra di cui prima, vidi, come tutti gli altri
membri allora presenti in loco, un massiccio schieramento di forze dell’ordine
in posizione da attacco, anti-sommossa, e chiaramente volenterosi di fare
incursione, posti dinnanzi all’ingresso della scuola DIAZ. Un attimo di
silenzio. Di certo non vi sono stati avvisi su di una possibile incursione, come
invece sarebbe dovuto essere. Mi riferisco al fatto che le forze dell’ordine
sono penetrate nello stabile senza avvertire con megafoni delle loro intenzioni,
e senza peraltro intimare l’abbandono dello stabile a chi in quel momento vi
era presente. La vicinanza dei due stabili mi permetteva di vedere con chiarezza
ogni cosa là fosse svolta. L’unica cosa che non potei vedere erano i volti
degli agenti, nascosti dai caschi. Solo violenza. Le finestre della scuola DIAZ
sono di grandi dimensioni e sprovviste di tende, pertanto la visibilità era
ottima. Ero al secondo piano e, seguendo un asse inclinato, poteri vedere con
chiarezza gli atti di violenza che le forze dell’ordine misero in essere alle
persone inermi e che non opposero resistenza, al piano primo dello stabile a me
di fronte. Con certezza, una giovane in piedi è stata colpita da un agente con
il manganello nell’angolo in cui il volto ed il collo formano un angolo retto.
Con chiarezza ho visto il corpo della giovane inerme cadere a terra e il braccio
violento dell’agente compiere un movimento ripetuto vero il basso, sul corpo
supino già violentato. Inutile andare oltre a descrivere le immagini riportate
dai giornalisti che nel mentre erano stati avvisati dai membri allora presenti
nella scuola Pertini, e che tutti abbiamo visto. La paura era tanta. Barricatici
tutti i membri dello stabile Pertini nell’aula in cui era la radio che per
tutto il tempo in cui le forze dell’ordine hanno violentemente colpito,
continuava a trasmettere, dopo aver cercato di creare una barricata con banchi,
cattedre e attaccapanni trovati nelle aule, vidi alcuni membri delle forze dell’ordine
penetrare all’interno dello stabile in cui eravamo, dalle finestre sul
corridoio esterno. Infatti lo stabile è a forma di quadrilatero. Con certezza
ho visto un agente alzare un tombino alla ricerca di non so cosa. Rumori
violenti hanno accompagnato il loro ingresso. Sfondate le protezioni artigianali
create poc’anzi, e giustificate dalla gratuità della violenza perpetuata ai
danni degli ospiti della scuola DIAZ, ho solo affermato ‘ho paura’. Riposto
un orologio, eredità di mio padre, nello zaino che avevo con me, aspettavo di
essere picchiato. Al momento dell’incursione, la radio era in diretta. Sono
entrati ha gridato il ragazzo al microfono, mentre noi con le braccia in alto in
segno di resa urlavamo di essere disarmati. Urla e terrore. Gli agenti attoniti.
La radio era in onda e tutto il mondo stava ad ascoltare. La nostra fortuna.
Nessuno di noi ha subito in quel preciso istante violenze. Poco dopo l’arrivo
di una deputata del partito della Rifondazione Comunista, l’unica a cui è
stato acconsentito di penetrare lo stabile, con qualche giornalista straniero
entrato di strafogo. Nessun mandato ci è stato mostrato, nessuna spiegazione,
nulla. Dalla finestra potevamo vedere con chiarezza giornalisti, un Senatore di
Rifondazione Comunista strattonato dalle forze dell’ordine perché chiedeva di
penetrare nella scuola DIAZ per accertarsi dell’incolumità di chi ivi fosse
presente. Diritto negato con la violenza, come ai legali presenti sul luogo.
Tutto il mondo stava vedendo. Solo urla, solo ambulanze con giovani massacrati.
Nessuna notizia sul dove fossero condotti. Sgomento. Con chiarezza, per lo
stesso motivo di cui prima, potevo vedere un soggetto in borghese, completo
scuro, guidare le forze dell’ordine. Egli tutto aveva visto e comandato. Egli
entrava ed usciva dalla scuola DIAZ mentre né ai politici, né agli avvocati,
né ai giornalisti fu concesso ciò. Pertanto ne concludo che egli tutto sappia.
Con certezza lo vidi accendere una sigaretta sul piazzale, entrare ed uscire
ripetutamente. Altresì vidi un soggetto, anch’egli in borghese ma con il
tricolore sulle spalle, giungere in Via Battisti. Per un attimo pensai che si
trattasse o del Prefetto o del Sindaco del Comune di Genova, dovendo questi
indossare il tricolore in qualità di pubblici ufficiali. Anche tale soggetto
pertanto era a conoscenza dell’accaduto, avendolo visto discorrere con l’uomo
misterioso in ‘nero’ di cui prima. Poco dopo la ritirata delle forze dell’ordine.
Poche parole ancora. Entrammo nella scuola DIAZ e fu solo sgomento. Sangue
ovunque. Particolarmente impressionato fui da denti rinvenuti in una pozza di
sangue, congetturalmente all’altezza in cui vidi il corpo della giovane
rovinare sotto i colpi dell’agente. Tessuti molli, simili a tessuti di
orecchio, poco vicino. Non sono un patologo pertanto, previe dichiarazioni
mendaci, affermo solo che si è trattato di immagini orribili. Corsi per tutta
la scuola alla ricerca di superstiti. Nessuno. Negli scantinati una pozza di
sangue, una gonnellina bianca, una maglietta a fiori e un ombrellino pieghevole.
Ancora una volta solo una congettura nei miei pensieri. Ancora una volta ho
paura dei miei pensieri. Spero non le sia capitato ciò che immagino. Nessuno
dei computer era integro. Tutti distrutti, monitor compresi. Tutto distrutto.
Immediata un’indiscrezione: il Prefetto, si diceva, aveva affermato che il
sangue presente era frutto di ferite subite dagli ospiti nei giorni precedenti l’incursione,
feriti che per altro non si erano recati per le adeguate medicazioni. Falsità.
Il sangue caldo non lo si può dimenticare. I denti strappati non li si può
dimenticare. I tessuti corporei strappati non li si può dimenticare. Per una
volta sono grato ai giornalisti della ricca documentazione fotografica.
Se le parole servono a descrivere il reale e a ridurne la complessità, questa
volta di parole non ne ho più.
Contro ogni classismo, contro ogni sessismo, contro ogni razzismo.
Emanuele Achino
Decidere di andare a Genova. Una decisione difficile, ma presa. La
costruzione, per settimane, di un pensiero chiaro e condiviso, di un’azione di
gruppo. Spiegare a mia figlia di quattro anni perché vado a Genova: le faccio l’esempio
di una iniqua ed arbitraria distribuzione di merendine. Lei ha capito.
Sono partita con ancora addosso un po’ di paura, ma tranquilla. La grande
manifestazione dei migrantes ha aggiunto gioia ed allegria all’incontro di
lotta. Ha quasi addormentato la paura.
Poi inizia l’incubo. Le cariche gratuite della polizia venerdì mattina mentre
ballavamo in una piazza. I black, comoda scusa per cariche insensate, sarebbero
arrivati solo qualche ora dopo.
Fumo di lacrimogeni e faccia bagnata dalle lacrime. Grazie ad Adli per il
suggerimento delle cipolle: niente come le cipolle contro i lacrimogeni.
Nonostante le cariche ingiustificate, le fughe, i vani tentativi di muoversi per
la città, la fatica di coordinare anche un gruppo di Pink nel tentativo di
raggiungere Piazzale Kennedy, un incontro ravvicinato con i black bloc,
nonostante questo, venerdì fino al primo pomeriggio la situazione non è
insopportabile.
Poi la notizia dell’uccisione di un ragazzo, le cariche sempre più spesse e
più vicine. La paura che aumenta (anche se lì per lì non te ne accorgi). Si
fa sempre più chiaro il quadro sui black bloc e su come vengano utilizzati
dalla polizia. Siamo sperduti, increduli, incazzati. Stanchi.
Dopo estenuanti tentativi e lunghe pause riusciamo a raggiungere piazzale
Kennedy. Gli elicotteri continuano a girare sulle nostre teste. Fuoco appiccato
al palazzo lì fuori. Come sarà domani? Dovremo contare ancora morti?
L’incubo l’indomani è ancora più insopportabile. Schiacciati verso la fine
del corteo, caricati su due fronti, sul terzo c’è il mare, decidiamo di
avventurarci per le stradine verso il centro. Non riusciamo a raggiungere nessun’altra
parte di corteo. In compenso vediamo diverse persone ferite. Hanno lanciato
lacrimogeni dall’alto, dai palazzi o dagli elicotteri. Hanno picchiato di
brutto. La paura di incontrare black bloc in fuga e la paura di trovare dietro l’angolo
poliziotti in vena di usare il manganello. Alla fine raggiungiamo la piazza dove
finiva la manifestazione. Per sgombrare gli ultimi arrivati la polizia pensa
bene di lanciare qualche altro lacrimogeno.
La puzza è arrivata ai polmoni.
Distrutti, riusciamo alla fine a partire.
Stazione Termini. Domenica. Ore 7.15. Silenzio, fresco. Ho lasciato il gruppo.
Sola, vorrei buttarmi per terra e piangere. Non ci riesco. L’incubo prende le
sue forme. Compro i giornali e leggo dell’assalto notturno alla scuola Diaz.
Penso alle persone che ho incontrato lì. Capisco le motivazione del blitz.
Schifo, rabbia, impotenza. Finalmente piango, da sola, seduta per terra alla
stazione termini.
Sto per tornare dai miei figli. Come glielo spiego quello che è successo? Che
di distribuzione di merendine in quei fottutissimi tre giorni non abbiamo avuto
modo di parlare? Che trovo insopportabile il silenzio di questa stazione? Che
quando sento l’elicottero che vola sulla spiaggia ho l’istinto di fuggire o
di buttarlo giù? Che mentre loro erano al mare, la storia ha voltato pagina e
forse è tornata indietro?
Sono stata a Genova da giovedì sera fino a domenica mattina e oggi mi sento troppo male per poter tranquillamente riprendere il lavoro e la vita quotidiana. Mi sento sconvolta quando leggo sui giornali che altri che hanno manifestato come me sono stati torturati dalla polizia con calci, schiaffi e con una violenza psicologica inaudita. Basta citare dei quotidiani come la Repubblica del 25 luglio ’01 pagina 4: "Molte ragazze sono state minacciate di stupro" , "All'arrivo (nel carcere di Alessandria) siamo stati tutti picchiati e manganellati come "di prassi" "….. sentire queste cose dovrebbe farci riflettere TUTTI perché un giorno potrebbe toccare a noi o a qualsiasi persona che ha avuto la "sfacciataggine" di manifestare o di esprimere la propria opinione come cittadino/a di un paese cosiddetto democratico.
Ho partecipato al corteo di sabato con il mio gruppo di affinità della Rete di Lilliput solo che a un certo punto sono stata male e ho dovuto uscire dal corteo. Sono stata accolta in casa di una famiglia genovese dove sono rimasta per alcune ore visto che fuori stava iniziando una guerrilla urbana. Penso di essere stata molto fortunata perché se avessi dovuto contare sul "aiuto" della polizia sarebbe stato meglio scappare.
La polizia non ha assolutamente fatto niente per proteggere i manifestanti dal cosiddetto Black Block che tra l'altro ha dei siti in rete (www.infoshop.org) dove si distanzia da qualsiasi vandalismo gratuito contro persone o macchine private. Mi chiedo come mai non sono state bloccate gruppetti di delinquenti che giravano tranquillamente per il centro di Genova e sapevano perfettamente muoversi nel labirinto della città vecchia? Mentre noi eravamo continuamente in fuga o da questi o dalle cariche violenti della polizia.
Spero veramente che la gente non continui la propria routine come se niente
fosse. Bisogna che apriamo gli occhi e ci rendiamo conto che sono stati violati
dei diritti cittadini e umani fondamentali.
(Quando lunedì ho cercato di coinvolgere una Associazione di Modena che stava
organizzando una serata di concerto di fare un appello per il sit in di martedì
mi hanno risposto che non si poteva fare perché si trattava di una affermazione
politica. Devo dire che non sono d'accordo perché si tratta invece di diritti
violati che ci toccano tutti e tutte a prescindere dalle nostre convinzioni
politiche o di partito.)
Spero che ci siano spazi per riflettere insieme e andare oltre. Intendo che
la cosa più importante è coinvolgere più persone e fare luce su tutto per far
sì che non possano più succedere eventi come quelli di questi ultimi giorni.
E soprattutto pensare modi diversi per affrontare le situazioni….. penso per
esempio a una mia amica che mi ha raccontato che a Belgrado tanti manifestanti
mettevano dei fiori sui poliziotti!
In questi giorni non si è fatto altro che parlare delle giornate di
Genova e la tensione e' rimasta alta...volevo sapere se i vols dello sci stanno
tutti bene e a casa, spero che quelli che mi hanno visto li' mi rispondano. Io
non ho partecipato agli scontri e non li ho neanche visti per mia fortuna, ma so
di gente di Pisa ferita alla testa dai lacrimogeni. le considerazioni che mi
vengono da fare sono tante, forse la più importante per me è che non bisogna
rompere il movimento per differenze di vedute o di prassi, ma semmai dialogare
con i violenti e soprattutto evitare qualsiasi forma di intolleranza e di
esclusione che acutizzerebbe soltanto le loro ragioni, ragioni che spesso
condivido, pur rimanendo nonviolenta.
Spero di aprire un dibattito, o di entrare in quello già famoso ed
esistente nello sci sul conflitto e sulla violenza/nonviolenza.
Ciò che è accaduto a Genova in questi giorni – episodi di cui siamo stati
sicuramente protagonisti per la nostra presenza, ma soprattutto “spettatori
per caso” – mi spinge non a riportare ciò che ho visto, bensì ciò che ho
provato:
la sensazione che si prova dinanzi ad un bimbo che muove i primi passi e che,
abbandonato il girello, casca e si fa male; la consapevolezza che se ci fosse
stato un “adulto” ad accompagnarlo per mano gli avrebbe forse evitato tanto
dolore; la certezza che, caparbio, quel bimbo si rialzerà per non barcollare
mai più.
Il “bimbo”, lo capite, è questo movimento la cui COESIONE è nata in questi
giorni e “l’adulto” che gli ha negato la mano, sono quei partiti con “esperienza
di piazze” che avrebbero potuto evitargli qualche ingenuità, causa di tanto
dolore.
Le affollate città d’Italia, ieri, ci hanno fatto capire che il
movimento è caparbio e che ce la farà.
Io mi RIVOLGO a quanti possono dare una mano, umilmente, e senza l’arroganza
che proviene da una passata militanza;
Io mi RIVOLGO a quanti hanno solo pensato di esserci, ma alla fine hanno
rinunciato sottovalutando la forza dei numeri!
Ai primi dico: “scendete di nuovo in campo, prendete la Vostra “esperienza”
da troppi anni appesa ad un chiodo come le Vostre scarpette di calcio!
Ai secondi dico: non delegate più ad altri, assolvendoVi perché “…..sono
già tanti!” Uno in più è una forza incredibile!
Non trovate giustificazioni apparentemente valide per dissociarVi: si trovano
sempre tante cose da “criticare” in ogni movimento, ma come potrà esso
migliorare e crescere senza il confronto con altre idee se Voi scegliete di
stare alla finestra?
E allora i 100.000 di Milano, i 50.000 di Roma, i 20.000 di Bologna, sono
POCHI!!
Non è obsoleta la frase “Il popolo unito, mai sarà vinto!”.
Provate a pensare cosa potranno mai fare di fronte ad una moltitudine
sproporzionata di gente: Nulla, se non arrendersi!
Aspettiamo anche te la prossima volta
Vorrei che finalmente si iniziasse a parlare di perchè 200.000 ( e forse +)
persone si sono mosse per contestare il G8. In TV o sui giornali a quanti
manifestanti è stato chiesto da venerdì in avanti? Era chiaro che si voleva
che finisse così per oscurare messaggi che possono essere +
"pericolosi" alla lunga, quali contestare un sistema economico in cui
il 20% della popolazione mondiale detiene l'80% della ricchezza, in cui 8
persone si riuniscono e decidono (per conto delle grandi imprese transnazionali)
per tutto il mondo, in cui l'attività prevalente dei cosiddetti mercati
finanziari è la speculazione a breve termine sulle valute che porta gli stati
più poveri alla bancarotta e i loro popoli alla miseria. Questi grandi potenti
si fanno belli di fronte all'opinione pubblica distribuendo le briciole della
loro ricchezza. Già l'anno scorso su pressione del movimento Jubelee 2000 era
stata promessa la cancellazione del debito pubblico per 20 fra gli stati +
indebitati. Ad oggi solo a 11 di essi è stata accordata. Agli altri sono state
proposte condizioni inaccettabili. Probabilmente vi starete chiedendo: e io
concretamente che ci posso fare? La domanda è legittima. Essere informati prima
di tutto.
Visitare una bottega del commercio equo e solidale (www.altromercato.it) .
Acquistarne i prodotti (la qualità fra l'altro è spesso eccelsa). Ai
produttori nel sud del mondo va una percentuale significativa del prezzo di
vendita e sono tutelate le garanzie dei lavoratori. Aprire un conto bancario
presso la Banca Popolare Etica (www.bancaetica.com), rinunciando al massimo
guadagno, ma avendo la garanzia che i soldi raccolti vengano investiti in
progetti a fini sociali e non in attività speculative che portano un sacco di
introiti alla banche e qualche frazione di interesse in più a noi...
Utopia? No, reale come le migliaia di persone al mondo che ogni giorno muoiono
di fame o malattie facilmente curabili. Reale come il morto (forse dovrei dire
morti, non si sa niente di un'altra persona che è stata colpita)
di Genova. Già, perchè a Genova c'è scappato il morto. Venerdì mi è venuto
in mente uno dei film della serie di Peppone e Don Camillo in cui un gruppo di
giovani parte in vespa per una manifestazione nel capoluogo. Alla sera c'è una
vespa in meno che ritorna.... Ecco, io ed il ragazzo ucciso, per quanto distanti
anni luce nelle forme di protesta, è un po' come se avessimo fatto il viaggio
assieme. Quel ragazzo non è morto venerdì perchè gli ha sparato un altro
ragazzo con la divisa da carabiniere. E' stato ucciso in precedenza da chi
(politici, giornalisti, persone comuni) ha voluto accentuare lo scontro, da chi
ha reclamato violenza.
Gli episodi di efferata violenza da parte di forze dell'ordine (quale ordine?),
del famigerato black block (ma chi sono veramente?) ed altri ci sono stati. Io
non ne sono stato testimone diretto, ma in allegato potete trovare un paio di
testimonianze significative.
Ribadisco però il concetto iniziale: parliamone, incazziamoci, reclamiamo
giustizia, ma contemporaneamente proseguiamo il viaggio che ci ha portato a
Genova.
Baci a chi mi dà baci
Carezze a chi mi dà carezze
Abbracci a chi mi dà abbracci
Aquì estamos
Non sappiamo come sfogare la nostra rabbia, ci ritroviamo, scendiamo nelle piazze, abbiamo gli occhi perennemente colmi di lacrime, le botte, i soprusi sono dentro di noi. Rivediamo le strade incendiate, strade in cui è evidente il segno di un'aggressione, scarpe sparpagliate a terra. Cosa sta succedendo? Dove siamo?
Anche chi come noi che, per pura casualità non è stata direttamente coinvolta negli scontri, si sente come scarnificato picchiato, violato. Violato nel proprio senso di democrazia e pacifismo. Anch'io mi sento un buco in fronte, mi sento lo stesso buco in fronte di Carlo morto per caso come poteva accadere a qualsiasi di noi che era a Genova.
Sono contenta di non essermi ritrovata sola al mio ritorno a Milano quando
siamo scesi dal treno siamo stati accolti dagli applausi di chi è venuto ad
accogliere i sopravvissuti di Genova, sono contenta che ci sia stata una
reazione forte e di solidarietà in questa Milano di destra. Eravamo 15.000
domenica, 30.000 lunedì, 120.000 martedì non ci siamo fatti intimorire, la
gente è scesa nelle piazze malgrado la paura. Questa è una vittoria, abbiamo
dimostrato che non è la forza delle armi che ci può rinchiudere, che ci può
tappare la bocca. Vogliamo essere in tanti armati di idee e la forza di essere
in tanti per continuare a difendere il nostro diritto di lottare per la
democrazia e contro i soprusi di questa economia, che rende schiavo il mondo.
Qualcun altro in questo momento deve avere paura di noi : movimento contro la
globalizzazione.
Coordinavo presso Genova tre campi, nelle date del G8. La nostra esperienza
al corteo di sabato, nel terzo troncone e vicini ai neri, dai quali ci siamo
progressivamente e prudentemente distaccati (avevo promesso si volontari dei
campi una partecipazione pacifica e "sicura" e sostanzialmente, salvo
le lacrime artificiali di alcuni, lo è stata), è risultata diversa da
gruppetto a gruppetto ma complessivamente non aggiunge niente alle esperienze
ben rappresentate in Agenzia 132.
Anche le nostre riflessioni non sono state molto diverse, nella loro variegata
molteplicità, da quelle espresse. Concordano nella testimonianza di una
strategia della polizia (carabinieri, polizia, guardia di finanza!, corpo
forestale!!???) troppo assurda per essere casuale, diretta secondo me certamente
e con successo mediatico ad una valutazione del GSF nonchè pure ad un suo
screditamento politico. Mi astengo qui da ulteriori commenti. Nel campo
dell'Alta Valle Scrivia si è avuta la partecipazione dei contadini e la
presenza del baffuto e riconoscibilissimo Bouvet (ma io ho potuto parlare solo
con il capo degli agricoltori baschi, presente più sere). Infine cito una
prossimità occasionale quanto drammatica agli eventi del venerdì.
Simona, una dei quattro agricoltori che aiutavamo, era amica di
"Carletto", il ragazzo ucciso, che conosceva da tanti anni. La sorella
lo era ancora di più e più vicina a lui nel periodo recente, lo aveva visto la
stessa mattina della tragedia, raccomandandogli di non andare coi neri,
inutilmente. Due o tre ore dopo era morto e Simona ne era rimasta scioccata e
inconsolabile per giorni.
Per dire infine che tutto questo vivevamo da una distanza di pochi chilometri e
di pochi minuti da Genova ma in una dimensione ambientale così radicalmemte
diversa, nei paesini disabitati dove ci trovavamo e vivevamo in modo assai
primitivo, che accentuava il senso di straneamento dalle cose e dalla realtà,
di assurdità dei suoi connotati, che i fatti di Genova, per un certo verso,
hanno comunque indotto in molti di noi.
Avevate promesso di manifestare in modo ordinato se le autorità vi avessero
lasciati liberi di manifestare il vostro dissenso.
Avevate promesso di emarginare le frange violente che si fossero presentate a
Genova.
Avevate promesso il rispetto delle forze dell'ordine.
Alla resa dei conti abbiamo che non c'è stato nessun ordine ma al contrario
c'è stato un "disordine mortale" e addirittura che le forze
dell'ordine sono state aggredite ingiustamente mentre facevano il loro
dovere, non avevano scelta come invece l'aveva coloro che tiravano pietre e
sfasciavano tutto quello che trovavano. Inoltre oggi si viene a sapere, dopo
le irruzioni nella vostra sede che li facevate dormire con voi e li
rifornivate di materiale, quindi c'era tra voi e i Black Blocks una sorta di
connivenza.
Penso che non ci siano parole per descrivere la faccia tosta che avete
dimostrato e che hanno dimostrato di avere i vostri ridicoli portavoce. Vorrei
chiedere al sig. Agnoletto se è a conoscenza del nome di colui che ha permesso
che tutto quel materiale pericoloso, poi utile per aggredire le forze di
polizia, entrasse nella vostra sede di Genova. Oppure se è giusto
che il diritto a manifestare venga espresso distruggendo una città intera e
gettando nella precarietà migliaia di famiglie la cui unica colpa è quella di
abitare in quella zona o di avere li parcheggiata la macchina. Ovviamente da
parte mia c'è dispiacere che un ragazzo addirittura più giovane di me
sia stato ucciso, ma ricordiamo, evitando facili strumentalizzazioni come sono
soliti fare gli uomini della sinistra e soprattutto gli elementi del
"popolo di Seattle", che Carlo Giuliani non è stato ucciso
mentre esercitava liberamente il suo diritto a manifestare pacificamente
contro il G8 ma è caduto mentre tentava di infierire su un carabiniere
ferito alla testa e al ginocchio, insieme ad altri teppisti che stavano
sfasciando l'automobile su cui il carabiniere era intrappolato. Si sta parlando
di un giovane di 20 anni ferito e terrorizzato che spara alla cieca per
difendersi da un'aggressione il cui comportamento magari non capisce nemmeno.
Perchè ricordo che coloro che hanno distrutto Genova avevano la possibilità di
scegliere tra la pace e la guerra e hanno fatto la loro scelta mentre le forze
dell'ordine hanno reagito, con reazioni umane, durante l'esercizio del loro
dovere senza poter scegliere se esserci oppure no. Bisognerebbe che il sig.
Vittorio Agnoletto facesse un mea culpa insieme a tutti coloro che lo
hanno sostenuto fin dall'inizio, per aver iniziato da tempo con inutili pretese
quel processo iniziato con la violenza verbale e conclusosi con quello che
abbiamo davanti agli occhi. Tutto quello che è avvenuto a Genova è servito
solo ed esclusivamente ad avere dato una certa popolarità a persone come
Vittorio Agnoletto
e i suoi collaboratori (dei quali ai tempi di Seattle non si sentiva parlare) e
i quali non hanno pensato alle possibili soluzioni da adottare per ottenere il
risultato da loro sperato cioè manifestare pacificamente contro le decisioni
dei grandi della Terra. Infatti se ciò che importava era far pensare la gente
mediante cortei e manifestazioni pacifiche sollevando dubbi nella coscienza
delle persone perchè non si è pensato di farlo lontano da Genova?
Proprio perchè l'eco che i media avevano dato al Genoa Social Forum era
talmente grande che il dissenso sarebbe stato ugualmente sotto gli occhi
dell'opinione pubblica. Non lo si è fatto perchè ciò che si cercava era
pubblicità e lo scontro. L'idea di altri (tute bianche) di forzare i blocchi
della polizia ed entrare nella zona rossa sono il chiaro segnale di ciò
che ho detto. E dopo che erano entrati nella zona rossa che facevano? Dove
volevano andare e a fare cosa? Tutti escamotages.
Spero che lo sfogo di un giovane che ritiene la globalizzazione iniqua quando
diventa ingiustizia e non giusta a priori, che si è trovato impotente di fronte
alle immagini televisive, abbia presto una risposta da coloro che per me fanno
parte del gruppo dei responsabili di ciò che è avvenuto (Agnoletto, Mantovani
e altri) in modo che questi ultimi cerchino di fronte ad un'opinione pubblica
sempre più a loro contraria di spiegare le loro motivazioni. Qualcuno deve
rendere conto alla gente.
C'ero anch'io il giorno della manifestazione e confermo quanto scritto sotto.
E' stata una esperienza inimmaginabile. I poliziotti ci hanno attaccati con
lacrimogeni e manganelli: eravamo tantissimi/e, seduti a terra: stavamo
aspettando, perchè il corteo si era fermato. Eravamo inermi e indifesi/e. E'
avvenuto in un attimo. Anch'io ho ricevuto una manganellata. Ho visto e soccorso
un ragazzo sindacalista francese colpito al braccio da un candelotto
lacrimogeno. Aveva una ferita profonda e, dopo l'intervento di un medico che ho
trovato tra la gente spaventata, ho dovuto cercare un'ambulanza perché era
necessario il ricovero in ospedale. Una ragazza del nostro gruppo di Pinerolo è
stata aggredita talmente violentemente che, dopo averla colpita ripetutamente
con il manganello buttandola a terra, le hanno tirato 5 calci in faccia,
rompendole la mandibola. Ricovero urgente in ospedale. Anche lei era lì
pacificamente, priva di alcuna difesa. Ho visto feriti, gente che si è sentita
male a causa dei lacrimogeni, gente che gridava e piangeva. Eravamo tutti lì a
manifestare in modo nonviolento. Più che il dolore fisico mi è rimasta una
ferita profonda "dentro".
Dove stiamo andando? Amici/amiche mie, teniamo bene gli occhi aperti. un
abbraccio.
Carla
1. Via Po a Torino, passeggiando in attesa dell'appuntamento delle 6. Solo e
senza scopo, vedo una ragazza al bar, con un'altra amica. Ma sì, è proprio
lei: una compagna di corso, si è laureata ieri. Mi fermo: come va, che fighe le
vacanze, dove vai, io sto andando a Genova.
AH. Pausa, poi la conversazione riprende, Poco, non c'è molto da dire.
Ciao, ciao, buone vacanze, mi allontano.
2. Leggende urbane e mediatiche, tutti ne parlano ma nessuno sa nulla. Seduti
sul lungomare dopo un pranzo a base di tonno e pane, chiacchieriamo con alcuni
ragazzi di radio Sherwood di Padova. Si parla di Messico, indios e problemi di
convivenza ed emarginazione sociale; si passa al G8, le tute bianche, la zona
rossa. Non si sa nulla di preciso, ci si aspettano scontri ma nessuno ha
intenzione di farsi o fare male. Leggende che forse sono vere, di cecchini nelle
case, pronti ad intervenire in caso di terroristi o estremisti. Si parla dei
cattivi, questi fantomatici anarchici insurrezionalisti, internazionalisti,
chissà cosa o chi li identifica così, per noi sono parole, come quando uno ti
spiega delle differenti correnti del death metal e tu ascolti annuendo assente.
Si parla dei mezzi di comunicazione, di questo comunicato delle BR (o chi per
loro) che dice "Interverremo al G8 con i nostri metodi".
Con questo messaggio, vero o falso che sia, tutto è legittimo da parte dei
poliziotti.
I poliziotti: questa è l'unica certezza di quello che ci sarà. Sono
tantisssimi, li abbiamo visti lungo il viaggio, praticamente ad ogni stazione.
Ci hanno portato a Genova, qui siamo controllabili e controllati, tutto è
organizzatissimo. Il concerto di Manu Chao ieri sera, stasera i Modena City
Ramblers; gli autobus speciali per portarci ai campeggi. Noi dormiamo in un
polisportivo, con due tendoni enormi pieni di gente che si riposa, ognuno col
proprio sacco a pelo. Tutto ordinato e pulito. Le voci corrono: gli anarchici
sarebbero da noi, alla Sciorba, ma lì non c'erano; qualcuno dice che i
fantomatici "cattivi" stanno al Carlini, dove dorme la maggior parte
delle persone; ma nessuno ne sa veramente nulla.
Oggi 19 luglio abbiamo trascorso la giornata al centro delle conferenze,
chiacchierando, ascoltando, ritrovando persone con interessi ed ideali comuni,
scoprendo le differenze tra associazioni e gruppi, che pure si ritrovano qui per
lo stesso motivo nostro. Questo è utilissimo, scambiare esperienze ed
informazioni con altri gruppi, creare il famoso "popolo di Seattle",
raccontarsi i diversi modi di uscire dall'unica logica dei potenti, quella del
denaro. Mentre scrivo c'è il vento di Genova alle mie spalle, alcuni ragazzi
stanno pregando o qualcosa di simile in lontananza; sembra un raduno sommesso di
persone, a metà tra un congresso e l'attesa prima di un concerto. Se la
tensione c'è, non è qui; non tra la gente con cui si parla. Tra due ore
comincia la prima manifestazione, ma tutto sembra liscio e tranquillo. Chissà
se è vero quello che mostrano in Tv, se ci aspettano scene di panico e di
guerriglia urbana.
3. La mattina del terzo giorno, dopo il delirio di ieri. In mezzo tante cose,
dalla manifestazione alla conferenza stampa di Agnoletto e Casarin, alla
carrellata sui media a sentire e leggere commenti, infine un dibattito con tutti
seduti per terra e un megafono che passa. Ora siamo sugli scogli, ancora; bonghi
che suonano, ma sono solo dei ragazzi che provano sotto il sole di piazza
Kennedy.
Un altro suono rispetto alle note cupe dei tamburi neri, questi anarchici o
chissà chi che ieri hanno dimostrato a modo loro: sfasciando la città. Diverso
anche dal rimbombo dell'elicottero della polizia: non ha smesso un attimo di
girare sopra di noi, solo per far sentire la presenza opprimente delle forse
dell'ordine.
C'è stata molta rabbia alla notizia della morte di questo ragazzo; insulti
all'elicottero, ai poliziotti che ci osservavano da lontano, controllando la
situazione per far sentire la propria superiorità strategica e militare.
Ieri non si capiva nulla. Siamo scesi dall'autobus per ritrovarci nel cuore del
vandalismo anarchico, senza capire bene come si fosse arrivati a questo, poche
ore dopo la belle manifestazione del 19. Tante conversazioni, tante opinioni; da
tutte emerge che la polizia ha spezzato il gruppo, provocando piccoli focolai di
protesta in varie zone, impedendo a tutti noi di ritrovarci per manifestare a
modo nostro. Ci siamo ritrovati tutti coinvolti nella guerriglia urbana senza
che nessuno potesse organizzare una protesta, con i fantssmi in nero liberi di
sfasciare cose e simboli senza alcun intervento da parte della polizia. Le
cariche ed i fumogeni le abbiamo viste e vissute anche in prima persona: gente
che scappa, il panico che sale e sale finchè da un angolo, chissà come, passa
la voce che va bene, che ci si può fermare al sicuro da manganelli e scudi
senza espressione. Il mondo ieri era diviso tra chi combatte e chi scappa.
Bandiere dipinte di nero che girano in circolo, falangi organizzate di robocop
blu. Chi scappa eravamo noi: giornalisti, pacifisti, manifestanti, genovesi.
Alcuni signori di Genova ci hanno fermato. Commenti critici: "Non si può
ridurre così una città, ragazzi; avete ragione, ma in questo modo tutto va
perduto".
E' stato così: l'evento per i mezzi di comunicazione è accaduto, ecco i
violenti, ecco gli anti-sociali, ecco i fascisti. Da una parte e dall'altra si
è parlato solo degli scontri. E, in sottofondo, i tamburi neri in marcia con
uno scopo preciso. Spostarsi, distruggere automobili; spostarsi ancora, spaccare
vetrine. Indisturbati, padroni della città. Mentre la polizia caricava lontano
dalla zona rossa, fino nel campo generale di piazza Kennedy. I fumi dei
lacrimogeni hanno riempito la città, salendo lentamente.
Anarchici? Nazifascisti infiltrati? Vandali e basta? In realtà tutto quello che
è passato, ieri, è stata la violenza; non c'è stata possibilità di
manifestare in altri modi. Ci hanno provato le ex Tute Bianche, i disobbedienti
civili, con protezioni e avanzamenti, tutti abbracciati incontro alla polizia;
ma la risposta à stata violentissima. Fino a sera sono proseguiti gli scontri,
i consigli diffusi via megafono: non tornate nei campeggi in piccoli gruppi, ci
sono poliziotti violenti ovunque, piuttosto dormite qui. Poi, la macchina
organizzativa è ripartita e con gli autobus siamo tornati tutti a casa.
Bene, questo è il poco che abbiamo visto. Dall'interno l'impressione è quella
di un'enorme confusione, in cui ognuno legge gli avvenimenti a modo suo. Visioni
di parte, critiche e recriminazioni. Il popolo di Genova si è conosciuto, ha
scoperto che c'è un'anima nera che appare solo a volte, organizzata e precisa
nello spaccare oggetti e nel creare disordine. Come per rovinare tutto il
pacifismo e la bontà che emerge da tutti gli altri, quelli che sono qui,
sommessi, per manifestare, esserci, entrare pure nella zona rossa, ma senza
rischi. La sensazione è quella di essere pedine di un gioco di ruolo, qualcuno
incrocia le anime dei partecipanti ad una battaglia mettendo uno contro l'altro
i gruppi nemici, lasciando stare chi danneggia le cose per colpire in modo
durissimo le persone. Ragazzi che sono qui per cambiare qualcosa; chi la
prossima volta si chiederà se vale la pena di rischiare la vita per un'idea.
4. Subito dopo il primo ed unico incontro ravvicinato con la polizia, e non
è stato bello.
Sono arrivati con le camionette in velocità; eravamo in pochi, forse 30. Non
stavamo manifestando: camminavamo solamente, per raggiungere piazza Kennedy.
Sono arrivati velocemente, alcuni ragazzi sono scappati su per una stradina; li
ha inseguiti una camionetta, sparando un lacrimogeno ad altezza uomo. Ero a 15
metri, dietro di loro; avevo le mani alzate.
Poi è arrivata una seconda camionetta che ha cominciato a sparare lacrimogeni
verso di noi, sempre ad altezza uomo. Mi sono riparato dietro un pilastro, c'era
anche una ragazza, gridavamo. I poliziotti sono passati al nostro fianco, blu
con caschi e tute, sembrava un videogioco; per un istante ho avuto la pazza
speranza che non ci vedessero. Ne è arrivato uno dall'altro lato, ci ha sparato
del gas al pepe in faccia; eravamo abbracciati, senza nulla in mano. Ci hanno
tirato fuori di lì, erano tantissimi, forse 10. Ci hanno chiesto i documenti;
io continuavo a gridare che non avevamo nulla di strano addosso, ho tirato fuori
il portafogli, uno è scomparso con le nostre carte d'identità in mano. Ci
hanno detto di stare in ginocchio, poi con la faccia a terra; ma eravamo in
vista di un sacco di manifestanti, un poliziotto ha detto "non qui, non
qui" e ci hanno spostato dietro il pilastro, dove nessuno vedeva. Per un
istante ho avuto nella testa un'immagine di tortura, ma ci hanno semplicemente
lasciato lì in ginocchio, senza dire nulla. Dopo qualche minuto ci hanno spinto
fino ad una via laterale, io continuavo a dire "i documenti, i
documenti" e loro spingevano e tiravano; si vedeva che ci avrebbero
volentieri trattato peggio. Ci hanno messo in fila di fianco ad altri; erano
tedeschi, tutti con la faccia pulita come noi. Marzia, la ragazza, era in
panico; il suo ragazzo cercava di consolarla, anche io le stringevo la mano.
Un tipo senza uniforme ci ha parlato, chiedendo dove andavamo. Non ci voleva
più vedere a Genova, la sera stessa. Gli ho risposto che, senza offesa, ma io
vado dove mi pare. Non ha risposto, ha ancora aspettato prima di ridarci i
documenti, ripetendo che non ci voleva più vedere. "Noi poliziotti
facciamo la parte dei cattivi e voi dei buoni". Sarcasmo. Poi ci hanno
lasciato andare.
Tutto lecito? Non esattamente: hanno sparato lacrimogeni ad altezza uomo, hanno
caricato dei ragazzi come me con la camionetta; in genreale il resto lo posso
ancora capire: l'esasperazione, la voglia di menare. Ma se questi sono
così con gente come me che non può fargli nulla, chi li controlla se si
incazzano sul serio? Eppure non è ancora colpa loro, se c'è qualcuno che
dovrebbe saltar fuori è chi ha organizzato e preordinato così chiaramente una
strategia della violenza: impedire le manifestazioni anche se pacifiche, pararsi
di fronte alla gente grazie a quelle teste di cazzo del Black Block. Così, pace
per tutti, si possono colpire senza pericolo quelli indifesi.
5. Lunedì, sono passati ormai due giorni dai fatti di Genova e abbiamo
trascorso questo tempo davanti alle televisioni, sui giornali, confrontando le
impressioni ed opinioni. Tanto parlare del morto, Carlo; tante polemiche del
Governo e dell'opposizione, tante immagini di vetrine sfondate, nessuno che
parla delle 200.000 persone che hanno sfilato pacificamente, nè delle proposte
portate avanti. Proposte concrete, contro il debito, i monopoli farmaceutici, le
speculazioni finanziarie. Forse perchè se ne è parlato prima di questi tre
giorni, di certo non in abbondanza; ma ora tutto sembra essere passato in
secondo piano per lasciare il posto alla violenza e ad una polemica
apparentemente sterile (Governo giù, governo su; intanto Bush dal Papa,
sorrisi-sorrisi, anche se lui è quello della pena di morte, del "no"
a Kyoto).
La sensazione diffusa è quella di una presa in giro, di una massa di 200.000
persone che sono andate a Genova in modo costruttivo per perdere il ruolo di
protagonisti, schiacciati tra due gruppi di violenti. I Black Block da una
parte, aiutati da chi si è lascito trascinare o provocare; la polizia
dall'altra, convinta di poter passare impunemente sopra ad un sacco di diritti
umani, almeno per tre giorni. Due gruppi militari o paramilitari; in mezzo tante
persone, civili, intenzionate a manifestare pacificamente.
Non ho letto questo numero, 200.000, da nessuna parte in questi ultimi due
giorni; non ho visto un'immagine del corteo, enorme, al quale abbiamo
partecipato sabato. Forse la sera stessa è stato mostrato; ma ora è in corso
l'incredibile processo di costruzione della storia ed interpretazione della
verità che porterà a ricordarsi di questi giorni per Carlo Giuliani e gli
scontri, più che per l'enorme massa di persone presente a contestare il G8.
Chissà se senza la violenza si sarebbe effettivamente parlato di questa
contestazione; chi "conosce il mondo", come si dice, afferma di no. A
noi resta l'immagine di una signora anziana affacciata alla finestra di casa, al
terzo piano. Scandisce il tempo con le mani, sorride e saluta il corteo; tutti
noi la applaudiamo dal basso e lei continua a sorridere, mentre una marea di
persone sfila sotto casa sua.
Torno da Pavia, dove sono stato con Ornella a cercare Guillermo e i suoi
compagni e compagne di Zaragoza sequestrati e torturati dalle forze dell'Ordine
(?) alla scuola diaz e incarcerati fino a mercoledi sera ( alba di giovedi
per molte e molti di loro). Non mi sono ovviamente ripreso del tutto e non
ho ancora metabolizzato
l'orrore che ho sentito raccontare e che ho visto sui loro corpi tumefatti (
nessuno/a escluso ). Non riprendo nè ripeto le notizie sulle modalità dei
fermi, pestaggi con sedie e banchi, sveglia violenta e minacce
dichiaratamente filo fasciste, molestie nelle corsie dell'ospedale, canzoncine
"faccetta nera" emesse dai cellulari per non far dormire i feriti/e,
due giorni senza cibo nè acqua ecc... i giornali si stanno occupando di
questo. Preferisco raccontare la mia esperienza diretta di fronte alla questura
di Pavia.
mercoledi mattina,
Dopo due giorni di ricerche telefoniche apprendiamo dai genitori di Guille che
sta al carcere di Pavia con circa una quarantina di stranieri presi la
"notte delle tastiere spezzate", passatemi il termine visto che
la espressione evolve cosi' come la nostra comunicazione dissidente, non più
matite degli studenti argentini ma PC. Mercoledi mattina decidiamo di prendere
il primo treno per Pavia. Arriviamo alle 16.00 e ci dirigiamo verso il carcere
emozionati e commossi per l'idea di riabbracciare il nostro amico e le altre e
gli altri.
Di fronte al carcere ci informano che il giudice non sta confermando gli arresti
perchè illegali e che presto potranno uscire tutti. Due spagnoli sono appena
usciti, ma subito caricati su un cellulare e portati in questura per delle
pratiche burocratiche, da una prima descrizione ci convinciamo che uno di questi
potrebbe essere Guille. Ci precipitiamo in questura dove troviamo una
cinquantina di persone della zona con qualche
parente e amico straniero che compilano liste e parlano con avvocati/e. Riesco a
parlare per 10 secondi con Guille al cellulare dell'avvocata che mi dice
"il peggio è passato ora sto bene", scoppio in lacrime pensando al
"peggio" senza una chiara idea di cosa volesse dire. Dentro la
questura gli stranieri ( tutti maschi) sono tutti liberi, ci dicono
avvocati e consoli inglese, tedesco, polacco che fanno la spola tra dentro e
fuori per portare acqua cibo e tabacco. Manca il console Spagnolo, questo ci
preoccupa non poco. Io sono direttamente in contatto telefonico col
console spagnolo a Genova che sta facendo un buon lavoro e si sta occupando di
altri due compagni di Zaragoza che stanno in ospedale a Genova.
Verso le 18.30 arriva il console spagnolo di Milano e tenta di portar fuori gli
spagnoli presenti in questura, dovrebbero essere 5 o 6. Verso le 19.30 in
maniera del tutto anonima un cellulare della PS esce dalla questura con le
tendine abbassate in modo che non si veda l'interno. Riesco appena a
notare una mano che si agita e una persona che cerca di salutarmi rincorro il
cellulare e grido "guille guille!!! " ... non l'ho visto in faccia ma
chiamando subito dopo l'avvocata che si sta occupando degli spagnoli ho la
conferma che sono appena usciti 5 ragazzi di zaragoza, tra cui il nostro amico e
che vanno a Malpensa per essere imbarcati
col volo delle 21.20. Informo lo Zio di Guille che sta a Madrid e lui chiede
conferma al consolato.
Confermato! rimangono dentro due o tre ragazzi di zaragoza. Ornella
ed io decidiamo di andare all'aereoporto, abbiamo bisogno di abbracciarlo,
toccarlo. In treno verso malpensa ci rendiamo conto che è impossibile arrivare
in tempo e le notizie sugli altri Zaragozani non sono tranquillizzanti.
Decidiamo che la nostra presenza è utile a Pavia. Scendiamo dal treno e
torniamo in questura a sostenere gli altri. Nel mentre le persone di fronte alla
questura sono aumentate, ora siamo circa 70-80, giornalisti, compagne e compagni
dei centri sociali lombardi, parenti degli strenieri, simpattizzanti e solidali
che hanno sentito la diretta di radio popolare. Di nuovo in attesa ... niente
notizie. Da una vetrata laterale della questura vediamo una decina di tedeschi e
inglesi che attendono, tutti hanno fasce, bende o ossa rotte, qualcuno zoppica
vistosamente, altri dormono in terra. Alcuni compagni dei centri sociali e
della CGIL fanno la spola tra dentro e fuori per darci notizie e portare
dentro acqua e cibo, una poliziotta ci informa che l'acqua manca anche per loro.
Finchè alcuni poliziotti dalle spalle larghissime si mettono di fronte alle
porte a vetri per impedirci di guardare.
Alle 22.00 ci informano che le pratiche burocratiche sono concluse, si sta solo
aspettando le detenute dal carcere femminile di Voghera per liberare tutti e
tutte insieme, non se ne comprende la ragione ma attendiamo fiduciose/i. Le ore
passano, tra di noi si parla, ci si confronta sul da farsi. ogni minimo
movimento di entrata e uscita viene preso come una novità entusisamente,
raramente si sentono urla o coretti "LIBERI! LIBERI !! " ... si cerca
di organizzare una azione simbolica per quando arrivano le ragazze da voghera,
si decide di utilizzare gli strumenti e le percussioni per farci sentire... le
ragazze non arrivano, non se ne comprende la ragione.
Nelle mie telefonate con l'avvocata percepisco che qualcosa non va dal suo
tono di voce, sempre più alterata... parla di denunciare il questore, vede
illegalità che si aggiungono ogni mezz'ora all'illegalità dell'intera
situazione. Le 96 ore di detenzione preventiva sono scadute alle 22.00 ma
compagni e compagne sono ancora dentro. Alle 24.00 circa mi chiama GUILLERMO !!
é all'aereoporto di Madrid! sta bene e ci sono i giornalisti che lo attendono,
non ha tempo di raccontarmi. La mia emozione non mi permette di fargli sentire
l'applauso che sfocia spontaneo quando riferisco la bella notizia di fronte alla
questura di Pavia....
Alle 1.30 circa arrivano le ragazze, accolte da urla e applausi, con loro un
piccolo corteo di parenti e amici, giornalisti e rappresentanti di Amnesty
International. Ornella all'arrivo delle ragazze è già dentro, volontaria di
sostegno ai carcerati/e parla spagnolo e sostiene gli animi ... anche lei è
visibilmente scossa. Mi faccio intervistare da amnesty per dare i nominativi dei
casi che sto seguendo mi dice che lei invia tutto a Londra e che da li
manderanno qualcuno a Zaragoza a intervistare le circa 15 persone che sono state
prese alla scuola.
ora siamo circa 60 70 qualcuno se ne andato stremato, altri sono arrivati con le
ragazze da voghera. Parlo molto con i genitori di una ragazza spagnola -
Guillermina - arrivata con un gruppo di berlino. sono disperati ma la madre
riesce a entrare in questura per abbracciarla, 5 minuti. L'umanità alberga
anche lì dove ormai non ce la aspettiamo più!!
I "buoni" della digos cercano di comunicare e di non farci fare
fotografie o riprendere video, anche loro sono visibilmente imbarazzati dalle
cose che si sentono sui loro colleghi, non hanno argomenti ... continua
l'attesa.
ogni 5 minuti sembra che escano tutti. Alle 3 circa ci informano che li
stanno liberando e che li portano all'aeroporto linate. Non per metterli in un
aereo, non per non farceli vedere, non capiamo ma iniziamo ad organizzare le
macchine che vadano li. Sale la preoccupazione per gli spagnoli e le
spagnole visto che manca il console. Quello di milano non risponde, la
segreteria ci da un numero di cellulare "per i casi urgentissimi",
staccato !!! Quello di Genova invece lo svegliamo nel sonno e si preoccupa di
chiamare subito l'avvocata. Il trasporto dovrebbe essere effettuato dal Reparto
mobile di Bolzanetto, i più fascisti e violenti, abbiamo paura che le violenze
continuino durante il trasporto .. Decidiamo che un avvocato seguirà il
pullmann fino a Linate. attesa... colletta, paste calde ... attesa... alle 5.30
siamo circa 20 persone
applauso quando escono gli avvocati sono stati bravi!! il pullman esce tra
rumori di tamburi e battiti di mani,
in macchina all'inseguimento verso Linate.
A linate li fanno uscire dall'autobus della Polizia :
SONO LIBERI ! i tre spagnoli vanno via col console di genova a riprendere il
furgone e i compagni che stanno ancora all'ospedale di genova. noi andiamo a
milano con 4 Catalani che hanno passato la notte con noi ...
stremati, scioccati, impotenti di fronte a situazioni che avevamo visto sentito
raccontare dai dissidenti chileni, argentini, spagnoli sotto le dittature...
in treno dormiamo male, pensiamo molto e immaginiamo come rispondre
politicamente ..
nessuna idea! ciao
Ho 37 anni, faccio il dirigente (dimissionario) in una multinazionale
americana, e quella di sabato è stata la mia prima vera manifestazione. Come
unico precedente al liceo avevo percorso circa 300m di corteo di protesta contro
gli euromissili. Non so quanto sia facile confondermi con un black bloc. Ho
ritenuto giusto e importante partecipare per gli stessi motivi per cui altre
centinaia di migliaia di persone NORMALI marciavano accanto a me; ero tra le
bandiere bianche dell'ACLI; quelle rosse della FIOM e quelle arcobaleno dei
Beati Costruttori di Pace. Ho visto persone sulla sedia a rotelle, bambini in
passeggino, anziani, preti. Ho visto genovesi rinfrescarci con secchiate d'acqua
dalle finestre e vecchiette benedirci dalla finestra. Dopo due ore di tranquilla
manifestazione ho visto fermare il corteo e comparire dal nulla un centinaio di
disgraziati totalmente diversi da
noi, assolutamente riconoscibili, poiché armati di spranghe metalliche spesso
appuntite, con caschi e maschere antigas sfilare in un silenzio di tomba ai lati
di migliaia di persone terrorizzate, costrette da un'organizzazione demenziale a
marciare tra la balaustra del lungomare a valle e vie blindate a monte, senza
possibilità di disperdersi. Qualunque manipolo ben organizzato dei famosi
poliziotti in borghese infiltrati nella manifestazione avrebbe potuto isolarli e
arrestarne una buona parte, anche perché siamo stati costantemente sorvolati a
bassa quota da due elicotteri muniti di telecamere, che abbiamo salutato con
affetto e gratitudine per tutta la durata del corteo.
Invece i poliziotti, vestiti da cattivi di guerre stellari sono comparsi sul
fondo del viale, in una nuvola di lacrimogeni. Io e quelli che erano con me ci
siamo spostati per lasciar passare la carica, che tanto non ce l'avevano con
noi... e invece no, ce l'avevano proprio con noi. Non con gli imbecilli con le
spranghe ma con la ragazza che è caduta, che è stata calpestata da due file di
poliziotti e malmenata dalla terza, e che è finita all'ospedale. Con un signore
che urlava ai poliziotti "siamo dell'ACLI!!!!!", che più lo ripeteva
e più sonoramente veniva picchiato dai celerini, con me e Alessandra che ce la
siamo cavata perché abbiamo avuto la fortuna di capitare nel movimento "in
levare" di un poliziotto che aveva suonato "in battere" buona
parte delle persone che come noi si erano addossate alla balaustra del viale con
le mani alzate urlando di non picchiarci. E' stato realmente un massacro.
Credetemi, credeteci. E' stata la mia prima manifestazione: e nonostante i
grandi rischi che d'ora in poi correremo tutti scendendo in piazza non sarà
certo l'ultima. Vi invito a farmi compagnia. A presto.
Genova è finita. o meglio sono finiti gli scontri, i pestaggi, i lanci dei
lacrimogeni, gli arresti arbitrari. E lentamente, molto lentamente si attenuano
anche i rumori ed i suoni che hanno popolato la mia testa in questi giorni... se
ne va il rumore dell'elicottero che per 2 giorni e 2 notti ininterrottamente ha
stazionato su di me e su migliaia di altri compagni. se ne va il suono delle
sirene, delle ambulanze e delle camionette. E se ne vanno anche i segni che gli
uomini in divisa blu hanno voluto lasciarmi come ricordo....un bernoccolo in
testa, un occhio nero e strisce scure sulla schiena, tutto questo provocato da
manganellate, calci, pugni. Non ho intenzione adesso di raccontare la mia
testimonianza perché l'ho fatto nei giorni precedenti con avvocati, familiari,
amici e giornali... grazie anche all'appoggio dei compagni che erano e che sono
con me.
Ha testimoniato anche Arianna, la ragazza che è stata prelevata come me da un
luogo pubblico e che come me è stata pestata con una ferocia inaudita alla
quale prima avevo assistito. Ci sono dei sentimenti e delle
sensazioni...però... è fascismo allo stato puro e allora non può e non deve
essere dialogo. Quello che vorrei adesso non è giustizia, ma vendetta pur
sapendo che mi abbasserei ai loro stessi livelli e soprattutto che cadrei
nell'abile trappola che stanno cercando di tendere a quelli che come me fanno
parte di un movimento di cui hanno paura. Ho cercato e cercherò da ora in poi
di spostare su un lato prettamente umano tutto ciò che Genova ha significato
per me. Abbandonando per un attimo la politica e la militanza perchè ho bisogno
di ricostruire ciò che la mano di un uomo ha distrutto a colpi di manganello.
So che ne uscirò più forte, più motivato più consapevole di cosa vuol dire
"Hasta la victoria" e forse un giorno, e mai ne avrò l'occasione,
riuscirò a guardare negli occhi l'uomo che per una sua scelta di vita mi ha
pestato e forse potrò provare pietà per lui. ma non adesso.
Cari amici,
allora io ero a Genova. Io ho visto. Non date retta ai giornali ed ai
telegiornali. E' stata una cosa pazzesca, un massacro. E' difficile raccontare
cio' che e' avventuto tra venerdi' e sabato. Per farlo mi aiuto con quello che
ho visto io e quello che hanno visto altri carissimi amici presenti a Genova. Vi
prego di avere la pazienza di leggere e' veramente la cronaca di un incubo che
difficilmente sentirete sui grandi mass media.
1.Io arrivo Giovedi' a Genova dopo la festosa manifestazione dei migranti,
50.000 persone. Ci sono i campi di raccolta, siamo tantissimi. Migliaia di
persone assolutamente pacifiche, un clima meraviglioso (vi ricordate i campi
scout?) si discuteva si cantava si stava bene insieme. Scout e militanti,
volontari e professionisti e venerdi' mattina iniziamo le piazze tematiche in
una citta' blindata: le varie associazioni si troveranno sparse nella citta' per
fare un assedio festoso con danze, performance e slogan alla famosa linea rossa.
A questo punto sul lungo mare arriva il famoso blak blok, alcuni di loro
vengono visti parlare con la polizia, altri direttamente escono dalle loro fila.
Parlano soprattutto tedesco. Iniziano a sfasciare tutto. Polizia e carabinieri
stanno fermi. I Black block cercano di infilarsi nel corteo dei lavoratori
aderenti ai COBAS e altri sindacati, di cui picchiano uno dei leader,
vengono respinti a fatica. Poi i black block puntano sulla prima piazza tematica
(centri sociali), piombano armati fino ai denti. La polizia li insegue, i
manifestanti si trovano attaccati prima dai black e poi dalla polizia che a quel
punto inizia le cariche violentissime.
I Black se ne vanno e piombano sulla piazza dove c'era la rete di Lilliput
(commercio equo, gruppi cattolici di base, Mani Tese..ecc.). La gente facendo
resistenza pacifica cerca di allontanarli. La polizia insegue: carica la
piazza. La gente alza le mani grida pace! Volano lacrimogeni manganellate. Ci
sono feriti. I Black se ne vanno e continuano a distruggere la città... 300-400
del Black Bloc vagano per Genova, chi li guida conosce perfettamente la citta':
il loro percorso di distruzione punta a raggiungere tutte le piazze tematiche
dove ci sono le iniziative del movimento.. E' impressionante. Si muovono
militarmente, si infiltrano, i capi gridano ordini, gli altri agiscono. E a
ruota arrivano polizia e carabinieri Intanto nella piazza tematica dove c'e'
l'ARCI e l'Associazione Attac ecc.:tutto va bene, nel primo pomeriggio si decide
di andarsene dal confine con la linea rossa fino ad allora assediata con canti,
scenette, ecc. La gente sfolla verso Piazza Dante, la polizia improvvisamente
lancia lacrimogeni alle spalle,. Fuggi fuggi generale. Gli ospedali si riempiono
di feriti. Molti pero' non vanno a farsi medicare in ospedale: la polizia ferma
tutti quelli che ci arrivano. E' sera. La gente e' sconvolta, molti inziano a
essere presi dalla rabbia. Dei black improvvisamente non si ha piu' notizia.
Alla cittadella dove c'e' il ritrovo del Genoa Social Forum saremo diecimila. E'
arrivata la notizia della morte del ragazzo.
C'e' paura, i racconti di pestaggi violentissimi si moltiplicano. Ragazzi e
suore che piangono. C'e' un sacco di gente ferita. Un anziano che piange con una
benda in testa, è un pensionato metalmeccanico.
C'e' Don Gallo della Comunita' di San Benedetto. C'e' la mamma leader delle
Madri di Plaza de Mayo in Argentina, quelle che da anni cercano notizie dei loro
figli desaparecidos: dice che e' sconvolta per quello che ha visto con i suoi
occhi, gli ricordano troppo l'Argentina della dittatura: non pensava fosse
possibile in Italia
Intervengono mio fratello, Luca Casarini delle tute bianche e Bertinotti
(l'unico politico che ha avuto il coraggio di correre) calmano tutti: ragazzi
non uscite in piccoli gruppi, non accettate la sfida della violenza.
Si decide che la risposta sara' la grande manifestazione del giorno dopo, saremo
in tantissimi, pacificamente contro tutte le provocazioni e le violenze di black
block e forze dell'ordine. Il senatore Malabarba racconta che e' stato in
questura. Ha trovato strani personaggi vestiti da manifestanti, parlano tedesco
ed altre lingue straniere. Confabulano con la polizia e poi escono dalla
questura. Scoppia improvvisamente un incendio in una banca vicino alla
cittadella. Gli elicotteri ci sono sopra: per piu' di 40 minuti non arriva ne'
pompieri ne' niente. Di notte uno dei campi dove siamo a dormire, il Carlini,
viene circondato dalla polizia. Entrate a perquisire, fate quello che volete. La
gente piange: implorano di non essere ancora caricati. La polizia entra: nel
campo non trova niente. 2. Sabato: la grande manifestazione, siamo veramente una
moltitudine.
Il corteo parte, ci sono mille colori. Gente di tutto il mondo. Tutte le
associazioni, il volontariato, i contadini, i metalmeccanici, i curdi, ....ecc.
Canti, danze, mille bandiere. Piazzale Kennedy. Non ci sono scontri. Non c'e'
niente. Sbucano i black Block La polizia improvvisamente, senza alcun motivo,
spacca in due l'enorme manifestazione. . Si scatena la guerra. Cariche dovunque,
manganellate. Sono impazziti. La polizia carica i metalmeccanici della FIOM, i
giovani di Rifondazione. Iniziano inseguimenti per tutta Genova. Chi rimane solo
è inseguito, picchiato. Decine di persone testimoniano di inseguimenti e
pestaggi solo perche' riconosciuti come manifestanti. E' picchiato dalla
polizia un giornalista del Sunday Times (sul numero di oggi racconta la sua
avventura...) In un punto tranquillo della manifestazione, sul lungomare,
improvvisamente da un tetto vengono sparati lacrimogeni che creano panico. Usano
gas irritanti, producono dermatiti, non fanno respirare. I Black Bloc? compaiono
e scompaiono, nessuno li ferma. Attaccano un ragazzo di Rifondazione. Gli
spaccano la bandiera e lo picchiano.
Attaccano a pietrate i portavoce del Genoa Social Forum. Spaccano vetrine ed
incendiano. Sono armati fino ai denti: ma come ci sono arrivati nella Genova
blindatissima? La testa della grande manifestazione è tranquilla, il Genoa
Social Forum fa l'appello di defluire con calma, di non girare da soli per la
citta'. Veniamo indirizzati verso Marassi dove ci sono i pulman di quelli
arrivati la mattina. Siamo fermi li'. Non si puo' andare avanti: a piazzale
Kennedy e' guerra. Siamo in tanti fermi, seduti per terra.
Improvvisamente partono i lacrimogeni. Fuggi fuggi generale. Si cerca di tornare
verso la cittadella del Genoa Social Forum: passano camionette della polizia da
dove urlano: vi ammazzeremo tutti!
La seconda parte del corteo non arriverà mai alla piazza dove era prevista la
conclusione. Tutte le persone vengono caricate indistintamente sul lungo mare.
Chi riesce scappa nei vicoli verso la collina, dove si scatena una vera e
propria caccia all'uomo. Sabato notte, la manifestazione era ormai finita da
alcune ore, la polizia irrompe nella Sede stampa del Genoa Social Forum.
Picchiano tutti con una violenza impressionante. In particolare sono interessati
alla documentazione (testimonianze, video, foto...ecc.) che raccontano quello
avvenuto tra venerdi' e sabato: sono molti attenti a distruggere tutto. Vengono
distrutti tutti i PC e tutto il materiale che trovano, viene arrestato
l'avvocato che coordina il gruppo di avvocati presenti a Genova.
Viene distrutto o portato via anche tutto il materiale che gli avvocati avevano
raccolto per difendere le persone arrestate. Adesso non si sa piu' neanche
quante sono e quali sono le accuse. Durante la perquisizione, fatta senza alcun
mandato, a parlamentari, avvocati, giornalisti e medici e' impedito di entrare.
Le famose armi comparse oggi in conferenza stampa ieri non si erano
viste....rimangono i feriti e gli arrestati. Del black blok non si sa piu'
niente. Vi assicuro, due giorni da incubo: black block e forze dell'ordine hanno
fatto un massacro e volevano farlo. Poliziotti e carabinieri erano stati montati
in modo pazzesco, fin da venerdi' mattina urlavano e insultavano.. Gli hanno
veramente lavato il cervello. E poi oggi a sentire televisioni e leggere
giornali: Dio mio sembra proprio un regime: dove hanno scritto la verita' che
tutti noi che eravamo li' abbiamo visto? Divento poi matto a pensare che alcuni
potranno ancora pensare: "voi contestatori, dite le solite cazzate..."
Non fatevi imbrogliare, abbiate il coraggio di mettere in discussione i vostri
convincimenti sulle meravigliose forze dell'ordine italiane e sugli apparati
democratici del nostro Stato. A Genova veramente e' avvenuto qualcosa di
pazzesco. Hanno inaugurato il nuovo governo.... Un'altra piccola cosa: sul
giovane ammazzato. La sapete la prima versione della questura prima che
comparissero i video? Ammazzato da un sasso lanciato da altri
manifestanti....... Se pensate che molta della documentazione raccolta da
testimoni e' stata distrutta dopo l'irruzione alla sede del Genoa Social Forum
di questa notte....ci rimangono le "sicure" versioni delle forze
dell'ordine... Meditate e per favore fate girare, stampate, parlate, c'e'
bisogno di raccontare la verita'. A vostri amici, parenti, colleghi di lavoro.
Vi prego non voltatevi dall'altra parte. grazie
Stefano
P.S. Mio fratello e' distrutto, mi ha detto: è pazzesco, sembra di essere
nell'America Latina negli anni 70.
Forse neanche lui aveva capito fino in fondo con chi aveva a che fare e che
governo e responsabili delle forze dell'ordine potessero arrivare a tanto.