Il lago che resiste, ricordo di un’estate

lago sniaEra la primavera del 1996. Il Pigneto era ancora un quartiere di periferia poco noto, soprattutto per me che abitavo da tutt’altra parte. L’unico locale di cui conservo memoria è una vecchia pizzeria a taglio che per me era la più buona di Roma. Iniziai a frequentarlo agli albori del mio attivismo con il Servizio Civile Internazionale quando la sede del gruppo romano era ospitata in un piccolo seminterrato della scuola di via del Pigneto, oggi soffocata dall’interminabile cantiere della metropolitana. L’eterna peregrinazione del gruppo aveva trovato pace grazie alla gentile accoglienza del comitato di quartiere che si incontrava in quei locali. Entrambi i gruppi erano molto attivi, dinamici e variegati.

La parte superiore della fabbrica ex-Snia viscosa era stata occupata da poco. L’atmosfera del piccolo seminterrato ribolliva di idee e una di queste fu organizzare un campo di lavoro internazionale per ripulire il laghetto. Quale laghetto? Quello tra via Prenestina e Scalo San Lorenzo. Era mai possibile che in quello stretto angolo iperurbanizzato potesse esserci un laghetto? E perché mai? Si stava costruendo un centro commerciale e durante gli scavi si era formato uno specchio d’acqua. Il comitato di quartiere era stato molto attivo nel cercare di fermare il progetto di speculazione che doveva investire l’enorme area dell’ex-Snia viscosa, il qual si era arenato scontrandosi con una falda acquifera.

La mia curiosità per i luoghi indomabili della metropoli schizzò immediatamente alle stelle. Il giorno dopo averlo saputo presi la bicicletta, percorsi con frenesia i tredici chilometri che separavano casa mia dal Pigneto e andai all’ex-Snia. Non ricordo chi mi accompagnò giù per la prima volta. L’attuale Parco delle Energie era ancora un territorio selvaggio pieno di ruderi avvolti dalla vegetazione dove l’unica persona che vi si muoveva con disinvoltura era Pecorino, un anziano pastore metropolitano che attraversava la Prenestina con la zappa in spalla. Quando arrivai alla rete sopra la scarpata rimasi di stucco. Era uno spettacolo incredibile, uno scheletro di un palazzo con ancora le impalcature montate immerso per metà dentro un liquido che io scorgevo essere bianco. Intorno tanta vegetazione e gli immensi capannoni della Snia. Nulla di quello che avevo visto nella mia città fino a quel momento aveva suscitato in me tanto fascino. E poi cosa era quella roba bianca? Enormi quantità di polistirolo, materiale isolante che si era staccato dal palazzo in costruzione accumulandosi nell’acqua.

Alla Snia a quel tempo c’era un gruppo di simpatici canoisti matti che per esercitarsi si lanciavano con il kayak dalle impalcature cosa che suscitava in me, da sempre affascinata da avventure estreme ed acrobatiche, profonda ammirazione. Soprattutto loro avevano avuto l’idea di ripulire il laghetto e rendere questo luogo fruibile al quartiere, avrebbero anche messo a disposizione le canoe per fare il lavoro. Che ficata! fu il mio pensiero giovanile dal sapore vagamente pre-politico. Mi proposi subito per coordinare il campo e nei mesi che seguirono iniziai a frequentare il posto. Era il luogo segreto dove portare chiunque volessi stupire. Ci andavo a studiare appoggiata ai pilastri di cemento dell’ecomostro. Scorazzavo con la macchina fotografica nei capannoni della fabbrica che sembravano essere stati abbandonati in fretta e furia. C’era un guardiano ma non troppo attento e nei locali ancora molti oggetti e macchinari, tutto sembravano essere stato abbandonato da un giorno all’altro, in fretta e furia. E come ogni luogo fantastico che si rispetti anche le sponde del laghetto nascondevano un tesoro.

Organizzammo il campo insieme al centro sociale ex-Snia con una decina di volontari internazionali. Il piccolo bacino fu ripulito molto rapidamente e in maniera divertente. Ma avevamo ancora tempo e allora tutti insieme, occupanti, comitato di quartiere e volontari decidemmo che era arrivato il momento di recuperare il tesoro. In una stanza dei capannoni c’era una montagna di cartelle, era l’archivio. In ogni cartella era contenuta la storia di centinaia di operai di quella che era stata la più grande fabbrica tessile della città e che negli anni d’oro aveva impiegato migliaia di persone. C’era qualsiasi tipo di informazione, paghe, provvedimenti disciplinari, licenziamenti e i loro futili motivi, fotografie, tessere del partito fascista allegate ai fascicoli personali. Storie di uomini e donne e di un pezzo della nostra città che giacevano dimenticate in una stanza polverosa da decenni. Muniti di due cariole e attenti a non farci beccare dal guardiano prendemmo tutto, fino a ripulire la stanza dall’ultimo foglietto, trasferendo il materiale al centro sociale. Insieme ad un pugno di volontari dello Sci, iniziammo ad ordinare e catalogare l’archivio. Un lavoro che durò qualche mese, poi la vita ci condusse verso altre sfide, altre lotte e altre avventure e l’onere e l’onore fu lasciato al centro sociale che negli anni ha portato avanti egregiamente il lavoro.

In quell’estate del 1996 tutti insieme nel nostro piccolo abbiamo scritto un minuscolo pezzo di storia di questa città: recuperato il laghetto e la memoria di centinaia di lavoratori. Oggi ancor più di ieri, giù le mani dal laghetto e della Snia!

Categorie: Diario

Lascia un Commento