In Chiapas i paramilitari uccidono Galeano

MININOTIZIARIO AMERICA LATINA DAL BASSO, n.6/2014 del 20.05.2014
A CURA DI ALDO ZANCHETTA

Rinviamo la II puntata del “divorzio” fra popolo brasiliano e football  perché una sollecita riflessione su un tragico evento di questi giorni ci sembra necessaria.

Ci riferiamo a ciò che è accaduto in Chiapas, a La Realidad, dove paramilitari della CIOAC-Historica hanno ucciso in una imboscata ilvotan della comunità zapatista José Luis Solís López, “Galeano”.

La gravità del fatto ha indotto l’EZLN a sospendere tutti i prossimi importanti impegni nazionali e internazionali già programmati e la stessacomandancia ha ritenuto di spostarsi in questa località per seguire più da vicino gli eventi. La parola d’ordine è stata: “non vogliamo vendetta ma vogliamo giustizia.

L’emozione è stata forte anche in Italia dove molti, e in particolare alcuni partecipanti alla recente escuolita, avevano conosciuto e apprezzato questo intrepido lottatore.

Non si è trattato di uno scontro fra gruppi in conflitto fra loro per ragioni di interesse, come il governo ha sostenuto, utilizzando uno schema ormai classico di voler ridimensionare e strumentalizzare casi similari, come già avvenne per il massacro di Acteal.

Fra le molte analisi disponibili in rete su questo evento abbiamo scelto quella di Peter Rosset, uno specialista statunitense di questioni rurali, pubblicata su La Jornada del 10 maggio scorso. (http://www.jornada.unam.mx/2014/05/10/opinion/020a1pol)

Il suo articolo inizia con due domande: “Sono violenti gli indios” Sono violenti gli zapatisti?” E prosegue: “Esiste molta confusione sulla violenza in Chiapas. Intendo qui offrire una guida breve per la sua interpretazione. La controinsorgenza in Chiapas si basa, in parte, sull’implementazione delle politiche disegnate per frammentare le organizzazioni campesine, indigene e comunitarie, creando fazioni ogni giorno più piccole, tendenziose, opportuniste e manipolabili. Ciò si ottiene offrendo ai leader locali e regionali risorse per progetti produttivi e assistenziali, candidature, posti nell’amministrazione pubblica etc, aventi base nelle necessità oggettive delle loro basi e ai loro opportunismi, gelosie e rancori. Queste offerte sono condizionate esplicitamente o implicitamente alla loro presa di distanza dallo zapatismo. Il suo obbiettivo è isolare politicamente i ribelli.”

Qui sta la chiave dei conflitti che ogni tanto esplodono contro le comunità zapatiste e che talvolta, come in questo caso, assumono aspetti estremamente violenti. Si utilizzano a tal fine dispute locali spesso preesistenti che talora neppure hanno una relazione con lo zapatismo e che sono frequenti qui come altrove. Alcuni esempi: la regolarizzazione della proprietà della terra, lo sfruttamento di una cava di sabbia, contrasti religiosi o politici etc.

Prosegue Rosset: “L’azione dello Stato manipolatore può trasformare qualunque problema latente preesistente in una frattura aperta. Tuttavia sarebbe un errore vedere lo stato come un monolite. Al suo interno esistono tante fazioni che cercano di fomentare al massimo la violenza, come anche forze che cercano di stemperarla, per non spaventare investitori o turisti. Questo fa sì che da un lato si promuova la violenza antizapatista per mezzo di ‘premi’ (progetti, incarichi, candidature) e dall’altro si cerchi di ‘risolvere’ e calmare il conflitto. Questo fa s’ che un gruppo contadino possa ricevere risorse per dapprima colpire e dopo cessare di farlo per un certo tempo. Questi gruppi che aggrediscono le comunità in resistenza si alternano nel loro lavoro di aggressione.”

Queste ostilità contro gli zapatisti vengono spesso presentate dai media con una colorazione razzista e classista, come ‘conflitti locali’ fra gruppi contadini, dato che gli indios sono ovviamente violenti e che i poveracci spesso si scannano fra loro. Nel caso specifico il gruppo autore della violenza appartiene a una grande organizzazione contadina nazionale, che spesso non è neppure al corrente di ciò che accade in alcune sue componenti periferiche.

Dice Rosset: “La contro insorgenza in Chiapas utilizza i conflitti locali come parte centrale della propria strategia. I problemi locali preesistenti sono gli alberi, la politica contro insorgente è il bosco. Si devono vedere le due cose simultaneamente. L’importante è capire e non dimenticare che il bosco è costituito dall’insieme degli alberi.”

E c’è un elemento aggiuntivo che Rosset sottolinea: “Nei territori in disputa in Chiapas predominano due visioni. Una, quella zapatista, è quella della costruzione lenta dell’autonomia territoriale, indigena e campesina, dell’educazione, della salute e della giustizia autonome, dell’agroecologia e dell’autogoverno. E’ una visione che poco a poco sta divenendo realtà. L’altra è più meschina, di corta veduta, di avvicinamento al potere, che cerca vantaggi personali e immediati. Coloro che si identificano come quelli ‘in basso e a sinistra’ preferiscono la visione zapatista e chiedono che abbia la possibilità di consolidarsi sempre più come alternativa ed esempio. Per questo è necessario il rifiuto totale di ogni aggressione contro lo zapatismo.”

Per approfondire quanto accaduto a La Realidad suggeriamo di consultare il numero del settimanale telematico “desinformemonos” di lunedì 19 maggio (http://www.desinformemonos.org) e l’articolo di Gustavo Esteva, Che fare? , sul sito www.comune-info.net, Segnalo anche, sempre su comune-info la lettera di Irene Ragazzini Da un luogo di dolore e di rabbia  e da La Jornada del 19 l’articolo di Luis Navarro La Cioac-h y sus paramilitares (www.jornada.unam.mx/2014/05/20/…/019a1pol).

Contatti:

www.kanankil.it / aldozanchetta@gmail.com

 

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