Lungo le rotte della solidarietá

scritto per il Report on Global Right 2019

Sembrano passati secoli da quando la foto di Aylan Curdi, il bambino siriano ritrovato senza vita su una spiaggia turca, si convertì in un simbolo di vergogna per l’Europa intera tale da scatenare un’ ondata solidarietà nei confronti di chi fuggiva dai conflitti in Medio Oriente. L’ultimo sussulto collettivo di umanità in questa Europa impaurita, incattivita ed in piena regressione. Da allora non solo ci si è progressivamente assuefatti alle quotidiane morti in mare, ma le forze politiche di estrema destra in diversi paesi europei, hanno soffiato con successo sul fuoco dell’intolleranza trasformando i migranti in nemici numero uno del “popolo” e la solidarietà in un crimine.

Solo quattro anni fa, quella spinta portò migliaia di volontari, attivisti e militanti nell’isola greca di Lesbo e lungo tutta la rotta balcanica. Un popolo variegato, di paesi, generazioni ed estrazioni politiche molto diverse: dagli anarchici Greci a movimenti religiosi di diverso ordine, dai difensori dei diritti umani ai bagnini catalani che proprio a Lesbo hanno dato vita all’organizzazione di salvataggio Proactiva Open Arms.

Un’esperienza di cui probabilmente si è parlato troppo poco e che per alcuni mesi a cavallo tra il 2015 e il 2016 ha animato un movimento di solidarietà che ha avuto nell’ eterogeneitá e nell’autorganizzazione le sue caratteristiche principali, nonché la capacità di arrivare dove le istituzioni governative e non governative non riuscivano. Erano i mesi del referendum sul piano di salvataggio imposto dalla Troika e la Grecia era in piena crisi politica de economica e politica; si trattava di un emergenza umanitaria in territorio Europeo che l’ACNUR non aveva il mandato di gestire; per le Organizzazioni non Governative, tradizionalmente impegnate in paesi extra-europei e in altri contesti, era un campo d’azione del tutto nuovo. Il primo salvataggio da parte di una ONG nel Mediterraneo centrale era infatti avvenuto solo un anno prima, il 30 agosto del 2014 da parte dell’organizzazione maltese Migrant Offshore Aid Station che avrebbe tratto in salvo oltre 1500 persone, in coordinamento con la missione italiana Mare Nostrum, solo nelle due settimane successive.

Da allora si è assistito ad un’escalation di campagne di criminalizzazione delle ONG e di altre esperienza di solidarietà con i migranti, all’avvio di politiche disumane che hanno portato a negare i porti ai naufraghi sia in Italia che a Malta, all’approvazione dei decreti sicurezza del governo italiano e alle sanzioni penali e amministrative per chi effettua i salvataggi in mare. Non solo in Italia o in Ungheria, ma anche in Spagna dove il governo del socialista Pedro Sanchez aveva aperto le danze del suo nuovo esecutivo, all’alba della caduta del partito popolare travolto da uno scandalo di corruzione, accogliendo a Valencia la nave Aquarius costretta per giorni in balia delle onde. Lo stesso governo che lo scorso mese di luglio ha recapitato una lettera a Pro Activa Open Arms minacciandola, senza successo, con una multa di 900.000 euro in caso di ripresa delle operazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale1.

 E’ sulla scia dell’esperienza di Lesbo e e nel contesto politico di questi ultimi anni che è nato e si è svolto il progetto Solidarity Routes, “Le rotte della solidarietá”. A marzo del 2016 quando entrano in vigore gli accordi tra Unione Europea e la Turchia la rotta balcanica è ufficialmente chiusa. Gli attivisti che via avevano partecipato, tornano nei loro paesi ed in molti casi continuano il loro impegno a livello locale dando vita a nuove iniziative di solidarietà o unendosi a progetti già in corso molti dei quali sono espressione dal basso dell’iniziativa diretta dei cittadini senza la mediazione di grandi organizzazioni. Nuove forme di impegno che a causa della loro natura locale, le difficoltà sempre maggiori che pone il lavoro sul territorio e le poche risorse a disposizione non riescono ad avere un respiro internazionale. Solidarity Routes nasce con lo scopo di costruire reti e collaborazioni tra attivisti di diversi paesi impegnati in iniziative di solidarietà con le persone in movimento lungo le tre rotte principali del Mediterraneo: la rotta balcanica, la rotta del mediterraneo Centrale, la rotta dello stretto. Allo stesso tempo, nel corso di due anni, ha offerto la possibilità a più di 200 attivisti di conoscere e comprendere le dinamiche in altri luoghi di frontiera e transito, conoscere il contesto politico e il quadro legale di altri paesi e scambiare metodologie e buone pratiche di intervento facendo tappa a Lesbo, Salonicco, Zagabria, Pula, Siviglia, Ceuta, Roma e Palermo.

Ma soprattutto ha costruito un embrione di rete internazionale di cui si sente un forte bisogno e che sarebbe urgente e necessario ampliare e rafforzare. L’iniziativa è stata lanciata dall’Asociación Pro Derechos Humanos de Andalucía, una delle principali associazioni spagnole di diritti umani che tra le altre attività, monitora la rotta migratoria dello stretto di Gibilterra e del Mare Di Alborán pubblicando ogni anno il rapporto “Frontera Sur”1. L’iniziativa, promossa in collaborazione con l’ ONG italiana Un Ponter Per, l’associazione croata PANK e il centro greco di informazione e documentazione sul razzismo, la pace e la non-violenza ANTIGONE, ha coinvolto in due anni circa 65 gruppi formali e informali, collettivi e associazioni oltre a doversi attivisti indipendenti.

Non è possibile in questa sede offrire una panoramica completa2 di tutti i gruppi che hanno partecipato, ma utile menzionarne almeno alcuni per comprendere, a fronte di una situazione politica europea in progressiva degenerazione, quanto invece siano numerose e impegnate su più fronti, le iniziative promosse dal basso da attivisti e militanti che sfidano quotidianamente le politiche xenofobe e securitarie in progressiva ascesa in diversi paesi europei.

Sul fronte italiano Baobab Experience, il collettivo romano che dal 2015 supporta i migranti transitanti nella zona della stazione Tiburtina di Roma e che in quattro anni ha subito 27 sgomberi da parte delle forze dell’ordine. La Clinica legale della facoltà di Giurisprudenza Roma 3 dove studenti e professori insieme ad avvocati professionisti offrono ai migranti un servizio legale gratuito nelle aule dell’Universitá. Mediterranea Saving Humans la rete di associazione e collettivi che ha costruito la missione di monitoraggio e salvataggio nel Mediterraneo Centrale, il collettivo Arci Porco Rosso che a Palermo, gestisce nel quartiere di Ballaró uno sportello di ascolto finalizzato a supportare, informare e assistere i migranti a prescindere dal loro status giurdico.

In Croazia Are you syrious l’iniziativa nata da un gruppo di cittadini di Zagabria nel 2015 per assistere i migranti transitanti e che da quattro anni produce e diffonde una newsletter quotidiana su ciò che accade lungo le diverse rotte migranti3. In Serbia, Info Park il centro per rifugiati e migranti autogestito da un gruppo di attivisti di Belgrado.

A Ceuta l’associazione Elin che gestisce un centro diurno di attività sociali e culturali per i mille migranti, di cui 300 minori non accompagnati che transitano nell’enclave spagnola in territorio marocchino. Proam aid, l’organizzazione dei pompieri Sivigliani processati per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina ed assolti lo scorso anno per uno dei tanti salvataggi operati nell’isola di Lesbo. E nell’isola greca Lesbos Solidarity, che a partire dall’esperienza di Pikpa, il campo autogestito dalla comunità locale e da volontari internazionali negli ultimi anni ha dato vita a diverse iniziative complementari: Safe bags il laboratorio di trasformazione dei giubbetti di salvataggio in borse, Mosaik il centro sociale nel centro della cittá di Mytiline che offre numerose attività didattiche agli oltre 6000 migranti ancora oggi bloccati sull’isola ed ai nuovi arrivati che da ben prima del 2015 raggiungono regolarmente Lesbo dalla Turchia. E Mikro Dounias, il piccolo asilo nel bosco dedicato a bambini locali e migranti autogestito dai un gruppo di genitori ed attivisti.

Sono solo alcuni tra i 65 gruppi e collettivi che hanno animato le attività, i dibattiti e le riflessioni sulle politiche migratorie europee e sulle pratiche dal basso attraverso le quali farvi fronte.

Dai dibattiti, le analisi e gli approfondimenti che hanno caratterizzato le diverse tappe del progetto è nato anche un manifesto politico che ha evidenziato cinque priorità sulle quali tentare di costruire strategie comuni di respiro europeo:

 1) Fermare le morti in mare e la violenza lungo le rotte migranti, non solo lottando contro i dispositivi legislativi tesi ad ostacolare sistematicamente le attività di salvataggio in mare delle organizzazioni umanitarie, ma anche facendo pressione per interrompere gli accordi di esternalizzazione del controllo delle frontiere primi fra tutti quelli con la Libia, il Marocco, la Turchia.

  1. Opporsi alla criminalizzazione della solidarietà ed alla restrizione, attraverso provvedimenti fortemente repressivi, dell’agibilità democratica e degli spazi politici della società civile.

  2. Contrastare il discorso d’odio e rafforzare una narrativa positiva di convivenza.

  3. Battersi per chiudere gli hotspot e per un diverso sistema diffuso di accoglienza, che possa rafforzare i processi di integrazione con le comunità locali.

  4. Fermare le deportazioni e i respingimenti illegali, una pratica sempre più diffusa alle frontiere e molto spesso accompagnata da metodi violenti, che non solo i migranti del diritto a chiedere asilo ma li relega anche in una zona grigia consegnandoli direttamente alle reti di trafficanti, allo sfruttamento e in alcuni casi, come in Libia, alla schiavitù ed alla tratta umana.

Il testo completo del manifesto è disponibile sulla pagina www.solidarityroutes.eu, che non è un semplice sito web ma un documentario multimediale prodotto dagli stessi attivisti durante le diverse tappe del progetto. Il web-doc si articola su quelli che sono stati i due assi principali dell’iniziativa: attraversare e conoscere le frontiere del Mediterraneo e documentare progetti di solidarietà in corso dando voce ai protagonisti e mettendo in rete le diverse esperienze.

Il viaggio di Solidarity Routes lungo le rotte migratorie del Mediterraneo ha confermato che in Europa una società solidale esiste e si adopera tutti i giorni per dare supporto alle persone in movimento, che gli obiettivi e le questioni centrali da affrontare sono chiare e collettivamente ben definite ma che il problema centrale resti attraverso quali forme organizzative e quali strumenti non solo arginare ma anche costruire un contrappeso politico e culturale all’ondata di razzismo, xenofobia e repressione che sta investendo il vecchio continente. E’ fuori dubbio che questa ricerca sia estremamente urgente e non più rimandabile e soprattutto che essa debba avvenire nel solco di una pratica di attivismo e militanza internazionale senza la quale sarà difficile sortire alcun effetto.

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