Verso Lesbo, per restare umani

anche su comune-info

Dall’inizio dell’anno sono circa ottocento mila i rifugiati che hanno attraversato la Grecia per raggiungere l’Europa seguendo la rotta balcanica. Un esodo dalle proporzioni epiche. Si tratta soprattutto di siriani, iracheni e afghani in fuga dalla guerra. La maggior parte si affida al mare e ai suoi trafficanti. Le isole greche di Lesbo, Leros, Chios e Samos distano infatti poche miglia dalla costa turca. Pagano tra i mille e i duemila euro a persona per essere stipati su dei canotti equipaggiati con piccoli motori fuoribordo a volte senza nemmeno la benzina sufficiente per completare la traversata.

A Lesbo arrivano in migliaia, ogni giorno e nel mese di ottobre si sono registrati picchi di 10/12 mila persone in un solo giorno. Le morti e i naufragi sono quotidiani, sull’isola si fa persino fatica a trovare luoghi idonei a seppellire i cadaveri che il mare restituisce sulle spiagge. E di fronte a questa situazione l’Europa sferra l’ennesimo attacco ai popoli del Mediterraneo.

Da un lato l’Ue lascia la Grecia sola ad affrontare una crisi umanitaria che non ha precedenti in epoca recente in territorio europeo. Una Grecia già costretta alla macelleria sociale imposta dal terzo memorandum che non ha mezzi e infrastrutture per gestire una crisi di queste proporzioni, quasi fosse l’ennesimo castigo della troika. Dall’altro sigla un accordo con la Turchia, dove Erdogan ha gettato definitivamente la maschera rivelandosi per quello che è: un leader autoritario e guerrafondaio (ne parla, tra gli altri, Enrico Euli in Guerra, crisi, clima. Mamma li trucchi). A lui e al suo governo tre miliardi di euro per limitare il flusso dei rifugiati verso l’Europa. Si calcola che sono circa due milioni i rifugiati nei campi al confine tra Turchia e Siria, una massa umana che in assenza di una soluzione al conflitto siriano continuerà a muoversi in maniera inarrestabile verso nord-ovest. I primi effetti dell’accordo Merkel-Erdogan sono già evidenti, circa 3.000 persone sono state arrestate nei giorni scorsi poco prima di imbarcarsi per le isole dell’Egeo aggiungendo un’ulteriore umiliazione al già atroce viaggio verso un luogo sicuro.

Umiliazione e vergogna ad ogni frontiera, dove i rifugiati versano in condizioni disumane e degradanti, da Lesbo a Calais, passando per Idomeni, il confine tra Grecia e Macedonia chiuso nei giorni scorsi e trasformatosi in teatro di violenti scontri. Ma anche Croazia, Slovenia e Ungheria.

C’è qualcosa che colpisce in questa assoluta barbarie. L’assenza pressochè totale dell’intervento istituzionale ha generato una risposta autorganizzata della gente, in ogni punto di approdo e in alcuni casi di transito, come a Roma con l’esperienza del centro Baobab, chiuso proprio pochi giorni fa dalla come sempre “lungimirante” amministrazione capitolina.

Da mesi a Lesbo sono centinaia di volontari internazionali a gestire la crisi in maniera quasi totalmente autogestita. Dall’accoglienza sulle spiagge, alla distribuzioni di beni di prima necessità nei campi di registrazione fino al soccorso in mare operato da alcuni persone specializzate, come il gruppo catalano Proactiva Open Arms che ha salvato da settembre ad oggi centinaia di vite umane. E mentre concludo questo articolo Lesbo compare insieme al sole all’orizzonte. Arrivo sull’isola con uno zaino ed un blog per raccontare. Un imperativo per cercare di restare umani.

Categorie: Diario, Senza categoria

Lascia un Commento